I Lowinsky tornano con Triste Sbaglio Sempre Lontani, un mini-album che nasconde un concept. Sei canzoni e un filo conduttore che si allaccia, con partecipazione e rispetto, ai temi cari alla poetica del Buzzati de Il deserto dei Tartari, citato in coda a Nessuno si ricorderà di noi: illusione, attesa di un’occasione, distanza incolmabile, (vano) anelito all’infinito, fallimento delle aspettative, incomunicabilità.
Partendo da una classica ricetta sonica indie rock, con sfumature folk ed emo, è sempre la melodia a guidare Triste Sbaglio Sempre Lontani, filtrata da uno sguardo distante, ma attento, a tutti i riferimenti di Carlo Pinchetti, autore delle canzoni, in un turbinio di collegamenti che uniscono gli ultimi Bright Eyes ai Velvet Underground, attraverso Lemonheads, Replacements e Rogér Fakhr.
Lowinsky traccia per traccia
Grande Niente e una giostra che non mi vuole ha un bel titolo e il merito di aprire in modo adeguato il mini-album, con un pizzico di melodramma, sottolineato dagli archi, ma anche con un buon lavoro del basso.
Si passa dalla voce maschile a quella femminile all’inizio di Doppio Gioco, ballata acustica che poi alterna le voci e parla dell’inutilità della libertà. Si passa invece all’inglese per Bottom of the barrel, un fondo del barile piuttosto rock.
Molto più malinconica, ecco poi Amphetamine Crown, che a dispetto del titolo è invece cantata in italiano, su toni che fanno pensare un po’ ai Timoria. Chitarra e voci per Nessuno si ricorderà di noi, classico pop rock di andamento fluido. Un recitato quasi funebre si occupa di chiudere il brano. A terminare invece l’ep ci pensa Harakiri, un suicidio rituale acustico e molto triste.
Grazie a qualche variabile qui e là i Lowinsky riescono a suscitare sorprese nell’ascoltatore, innestandole su un tessuto sonoro intenso e piuttosto omogeneo.