Estra, “Gli Anni Venti”: la recensione

Vent’anni dopo, gli Estra tornano a pubblicare un disco di inediti: Gli anni Venti, realizzato grazie a un crowdfunding, a testimonianza del fortissimo legame dei fan con la carriera di una band che ha contribuito a scrivere la storia del rock alternativo italiano.

Gli anni Venti è un disco duro e diretto ma traboccante di poesia che rappresenta il punto d’incontro dei percorsi individuali dei componenti della band. Co-prodotto dalla band e da Giovanni Ferrario, l’album è uno specchio dei nostri tempi, caratterizzati da una comunicazione frenetica quanto vuota e dalla progressiva perdita di umanità che essa causa. Un tentativo di recupero di due grandi assenti della nostra civiltà: l’empatia e il senso di direzione.

Nell’immagine di copertina, una bambina armata di martello si appresta ad abbattere un muro. Oltre si intravvede un cielo rosso sangue che simboleggia il disastro civile, culturale e ambientale in cui siamo intrappolati. È il simbolo di un mondo che può reagire ma deve affrontare senza esitare le sfide epocali di questi anni venti, che sono lo specchio degli anni venti del secolo passato: vigilia di devastazioni che hanno riscritto la storia occidentale e non solo. Per bocca della misteriosa Signora Jones che introduce il lavoro, si attraversano temi come la fluidità di genere, lo spettro di un passato che incautamente consideriamo risolto, i meandri della psiche e dei sentimenti più nascosti, passando per (vani?) tentativi di fuga, nuotando in mezzo a migranti che non possiamo ignorare. Il viaggio termina davanti a un’umanità in fila per sopravvivere, tra le proteste dei più piccoli e la presa di coscienza che potremmo essere gli ultimi esemplari della specie umana

All’album partecipano come ospiti Marco Paolini e Pierpaolo Capovilla (in qualità di voci recitanti), Giovanni Ferrario e Marco Olivotto.

Estra traccia per traccia

Una marcia sostanzialmente funebre quella che accompagna la voce di Marco Paolini che segnala episodi orribili ne La Signora Jones, che è autocitazione ma anche misura della distanza dei tempi.

Il disco decolla davvero con Fluida Lol, che a dispetto del titolo social e ridanciano ha battiti profondi e istinti aggressivi, quelli che suscita una contemporaneità difficile da capire e con cui confrontarsi. Ti aspetteresti i suoni degli anni Novanta, forse, e invece il rock risuona come molto attuale, o forse senza tempo. Citazione da Bella ciao nel finale.

Ecco poi Gli Anni Venti, title track dall’introduzione fantasiosa e dal prosieguo rumoroso. Il decennio in questione non è però quello che stiamo vivendo, bensì quello del Novecento, accompagnato da evoluzioni politiche particolarmente orribili. E che non hanno mai finito di risuonare nel presente.

Che n’è degli Umani? è la domanda che aleggia subito dopo, in mezzo al frastuono di batteria e a una tempesta sonora che cresce di intensità. Un po’ più tranquille le atmosfere di Nessuno come noi, che disegna percorsi fluidi mentre parla di temi come le migrazioni che caratterizzano questo, come tutti gli altri tempi dell’umanità.

Quasi desert rock l’ambiente sonoro che accoglie Ti ascolto, profonda nelle risonanze e nei battiti, singolare nello sviluppo e nella personalità. Molto diretti invece i messaggi di Lascio Roma, che corre e picchia molto forte, congedandosi dalla Capitale e dai suoi vizi.

Un’occhiata in avanti con Nel 2026, e non è un’occhiata molto ottimistica: un futuro prossimo “sempre in uniforme”, che guarda a un passato inquietante. Le oscurità si impadroniscono de Il Peggiore, il brano in cui la voce di Giulio forse spicca di più, soprattutto nei toni più profondi.

Suggestive le arie che attorniano i Monumenti immaginari, che si tuffa in rime baciate vertiginose, prima che la sezione ritmica trascini il brano verso mete lontane e altre tempeste.

“Hanno messo a morte il rock’n’roll/con la primavera”: un giudizio definitivo contenuto nelle prime battute di Notte poi, che chiude l’album in modo narrativo, soprattutto quando interviene la voce di Pierpaolo Capovilla a rafforzare i concetti.

Non hanno fatto un disco nostalgico gli Estra, tutt’altro: senza sconfessare nulla di quanto hanno fatto in passato, hanno preferito strade nuove ma sempre motivate. Rinnovarsi confermando se stessi non è operazione da poco, soprattutto in campo artistico. Ma la band aveva spalle abbastanza larghe per riuscire nell’impresa.

Il disco è potente e intenso dalla prima all’ultima nota, incide forte sul presente e presenta la faccia migliore di una band troppo spesso sottovalutata e oscurata da giganti nati nella stessa epoca. Ma c’è ancora tempo e spazio per un quartetto che ha sempre inseguito le emozioni sincere.

Genere musicale: rock alternativo

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