Lucio Battisti: prigioniero del mondo #sottotraccia
Come da tradizione (recente) dedichiamo agosto alla lettura: per il 2024 abbiamo deciso di ripubblicare una serie di pagine tratte dal volume “Italia d’autore” (Arcana, 2019), dedicato ai grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana.
Ci sono stati due Lucio Battisti: il primo figlio di Dea e Alfiero Battisti nasce nel 1940 e muore a soli due anni. I coniugi Battisti decidono così, dopo aver avuto una bambina, Albarita, di mettere il nome Lucio anche al nascituro terzogenito, che vede la luce il 5 marzo 1943. Originaria di Poggio Bustone, la famiglia Battisti si trasferisce a Vasche, sempre in provincia di Rieti, nel 1947. Il giovane Lucio inizia a studiare e sarà una promozione a valergli un regalo significativo per il futuro: una chitarra acustica.
Imparerà a suonarla da autodidatta, con l’aiuto di qualche compaesano, ma diventerà anche motivo di contrasti familiari: si favoleggia che, iscritto a un istituto tecnico, trascurasse gli studi per suonare. Il comportamento del giovane Lucio indispettisce tanto il padre che arriva a rompergli, antesignano inconsapevole degli Who, lo strumento in testa. I due arrivano comunque a un accordo: Lucio s’impegna a studiare e in cambio il padre gli concede due anni di tempo, dopo il diploma, per scoprire se può riuscire a guadagnarsi da vivere con la musica. Il ragazzo inizia così a gravitare nell’orbita di svariate band, prima di Napoli, poi di Roma, finché non gli viene offerto il posto da chitarrista nei Campioni, gruppo di fama già più che discreta.
Il ruolo era stato proposto dapprima ad Alberto Radius, che aveva rifiutato: Battisti invece accetta con entusiasmo e si reca a Milano, base operativa della band. È il 1964 quando il gruppo parte per una tournée con tappe in Germania e Paesi Bassi: occasione per ascoltare rock inglese e americano che in Italia non arriva, oppure arriva a gocce, ma anche opportunità per Battisti per mettersi a scrivere qualche canzone in proprio. Pare sia stato Riky Matano, leader dei Campioni, a spronarlo su questo versante, anche se sembra piuttosto evidente come il talentuoso ma introverso chitarrista sarebbe approdato comunque alla scrittura, anche in modo autonomo.
Matano è comunque il primo paroliere di Battisti, che anche in questo si rivela diverso dai suoi colleghi: scrive la musica ma non le parole, preferendo quasi sempre affidarsi ai concetti altrui. A proposito di parolieri, è il 1965 quando stringe la mano a uno di un certo talento: Mogol lo incontra a un appuntamento organizzato dall’etichetta discografica El & Chris, ma per sua stessa ammissione non rimane folgorato dalle doti del giovane; tutt’al più gli piace la sua umiltà e la voglia d’imparare.
Uno stonato di successo
Se poi questo racconto serva a Mogol per suggerire in modo sotterraneo il fatto che, in fondo, Battisti ha imparato tutto da lui, non è dato sapere. È però certo che è proprio Mogol a insistere con Battisti e con la Ricordi affinché sia il ragazzo a interpretare le proprie canzoni in prima persona, senza affidarsi alle voci altrui. Sembra che il paroliere sia arrivato a minacciare le dimissioni dalla Ricordi, pur di spianare la strada al Battisti cantante. Certo la voce del ragazzo non è di quelle impressionanti: sottile, tutt’altro che potente, qualcuno lo definisce senza mezzi termini stonato. La voce di Lucio sembra non sposarsi bene con le nuove tendenze che vogliono sul palco gli urlatori.
Tanto più che Battisti non sembra incline a scrivere canzoni confidenziali o che abbiano qualcosa a che spartire con la tradizione vocale italiana: i primi ad accorgersi della solidità delle sue canzoni sono infatti gli esponenti delle band, più aperti alla novità. Nel 1966, comunque, vincendo le resistenze proprie e altrui, Battisti pubblica il primo singolo con Per una lira e Dolce di giorno. È un fiasco, ma è anche un inizio: le canzoni, corroborate da nuovi arrangiamenti, saranno poi entrambe portate al successo, rispettivamente dai Ribelli di Demetrio Stratos e dai Dik Dik. Nel 1967 esce 29 settembre, che l’Equipe 84 porta in cima alla hit parade; poi arrivano Uno in più per Riky Maiocchi, Non prego per me per Mino Reitano e un altro singolo di scarso successo, Luisa Rossi, con Era sul lato B.
Il primo trionfo è Balla Linda, in origine lato B di Prigioniero del mondo, che raggiunge il quarto posto della classifica e che consente a Battisti di arrivare quarto al Cantagiro del 1968: è la dimostrazione che il ragazzo reatino ha il talento, anche vocale, necessario per sfondare. Il 1969 lo vede per la prima volta a Sanremo: canta Un’avventura, in coppia con Wilson Pickett, ma non trionfa. Il nono posto finale è accompagnato da critiche di vario genere: c’è chi dice che ha «chiodi che gli stridono in gola» (Natalia Aspesi sul «Giorno»), c’è chi ironizza sulla sua capigliatura.
Ma è troppo tardi per i critici: il 28 marzo del 1969 pubblica Acqua azzurra, acqua chiara, che sarà per lui ciò che Satisfaction è stata per i Rolling Stones. Sul lato mondano annuncia pubblicamente il suo fidanzamento con Grazia Letizia Veronese, che faceva la segretaria del Clan di Celentano e che diventerà sua moglie. Mentre Acqua azzurra, acqua chiara raccoglie consensi e trionfi, come il terzo posto al Cantagiro e la vittoria al Festivalbar, Battisti comincia a costruire una striscia di successi notevole: prima sono ancora i singoli, come Mi ritorni in mente, poi si passa agli album.
Tra il dicembre del 1970 e il dicembre del 1974 escono: Emozioni con Fiori rosa fiori di pesco, Il tempo di morire, Mi ritorni in mente, 7 e 40, Acqua azzurra acqua chiara, il curioso concept album Amore e non amore, umanamente uomo: il sogno (I giardini di marzo, E penso a te, Innocenti evasioni), Il mio canto libero (La luce dell’est, L’aquila, Vento nel vento, Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…), Il nostro caro angelo (La collina dei ciliegi, La canzone della terra, Questo inferno rosa) e lo sperimentale Anima latina, più qualche raccolta: tutti si classificano nei primissimi posti della hit parade e tutti cambiano il panorama della musica italiana.
Dannati curiosi
Nell’anno di grazia 1973 la coppia Battisti-Mogol (sostanzialmente cofirmataria di tutte le canzoni del periodo) riesce anche nell’impresa di piazzare un disco al numero uno (Il mio canto libero) e uno al numero due (Il nostro caro angelo); e non è che in quel momento manchino offerte discografiche di livello: al terzo posto, per dire, ci sarebbe The dark side of the moon dei Pink Floyd.
Ma nel frattempo è successo qualcosa, o meglio è emerso in luce piena un aspetto del carattere di Battisti che non fa molto piacere ai fan, ma soprattutto ai giornalisti specializzati in quello che in Italia all’epoca non si chiama ancora gossip: Lucio prima dichiara apertamente il proprio fastidio per la stampa e chiama i giornalisti “dannati curiosi”. Poi cessa di fare concerti; quella del 1970 è l’ultima tournée, a seguito della quale dichiara, con riferimento ai tour:
Intanto non vivi e, come ho detto, io intendo seguire questa professione, intendo guadagnare, intendo divertirmi, intendo avere successo, ma intendo anche vivere. Non solo, ma le ripercussioni più grandi quali sono? Proprio quelle del lavoro: e chi me lo dà il tempo di stare la mattina, da quando mi alzo, dalle otto alle quattro del pomeriggio, con la chitarra a suonare? Perché, ripeto, le canzoni mica scaturiscono così. Intendo conservare la mia autonomia, la mia personalità per quanto possibile, e una delle cose che ti spersonalizzano al massimo sono le serate
da un’intervista a Paolo Cucco per «Sogno»
Ma trova modo d’impegnare il proprio tempo comunque: scrive canzoni anche per Patty Pravo, Formula 3, Mina, Lauzi e altri, suona la chitarra per Nicola di Bari al Festival di Sanremo in La prima cosa bella, confermando il piacere di suonare e di presentarsi anche come strumentista. Poco prima dell’ultima tournée, tra l’altro, ha portato a termine un progetto curioso che Mogol coltivava da qualche tempo: un viaggio a cavallo da Milano a Roma, che dura più di un mese. E poi ascolta, sperimenta, ricerca, trova nuove soluzioni: si avvicina ai concetti della musica progressive con un disco semi strumentale come Amore e non amore, oppure gioca con le sovrapposizioni in canzoni come Pensieri e parole.
E in pezzi come Le tre verità dimostra apertamente come le tendenze del rock inglese, segnatamente i Led Zeppelin, non gli siano per niente sconosciute. Si diffonde, a inizio anni Settanta, la voce in base alla quale Battisti, che apertamente si professa non interessato alla politica, sia in realtà vicino all’ideologia fascista o comunque di estrema destra: qualcuno interpreta in maniera equivoca immagini come i «boschi di braccia tese» (saluti romani?), che compaiono nelle sue canzoni.
Alla voce per cui Battisti finanzierebbe in segreto il Movimento Sociale Italiano, lo stesso Mogol risponde che è impossibile, perché è troppo, diciamo così, oculato con le spese. È questo anche il periodo in cui Battisti comincia a rifiutare interviste e fotografie, tanto che vengono a galla operazioni simpatia come quella del settimanale «Oggi», che orchestra un dibattito sul valore del cantautore, con pareri illuminati come quello di Riz Ortolani, che lo accusa di scopiazzare, mentre Augusto Martelli dichiara: «Battisti è un dilettante spaventoso». Un dilettante non privo di talento, si potrebbe dire.
Brianza velenosa
Il 25 marzo 1973 nasce Luca Filippo Carlo, unico figlio della coppia, ed è il casus belli che devasta in modo definitivo i rapporti tra Battisti e la stampa. Tra flirt inesistenti, agguati dei fotografi, ricerca esasperata dello scoop, il panorama è tale che Battisti finirà quasi per confinarsi nella recente villa di Molteno, nella «Brianza velenosa» di cui parlerà in Una giornata uggiosa. Non riescono a rompere l’esilio né Enzo Biagi, che vorrebbe intervistarlo, né Gianni Agnelli, che gli offre 2 miliardi di lire per esibirsi al Regio di Torino in un evento sponsorizzato dalla Fiat.
Con Il nostro caro angelo inizia a utilizzare strumenti elettronici, a scavare più in profondità con orchestrazioni spesso complesse, ma anche con soluzioni ritmiche interessanti. Anima latina del 1974 sottolineerà ancor più questo tipo di ricerca e il distacco dal resto della musica italiana che, salvo qualche eccezione, va in direzioni del tutto differenti. Il 1975 vede Mogol e Battisti alla scoperta dell’America, un viaggio da cui tornano con idee, ritmi nuovi e lo scheletro di una canzone che diventerà Ancora tu.
A luglio di quell’anno, però, la babysitter sventa il tentativo di rapimento del figlio Luca da parte dell’Anonima sequestri: a seguito di questa esperienza, Battisti si reca sempre più spesso a Londra con la famiglia. Durante gli anni Settanta, inizia anche ad accompagnare le canzoni con filmati che in qualche modo anticipano l’esplosione dei videoclip. Nel 1976, dopo un anno di pausa, esce Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera, con un giovane chitarrista di nome Ivan Graziani che presta la propria collaborazione.
Il disco seguente, Io tu noi tutti, esce nel 1977 e ha anche una versione inglese, Images, un po’ travagliata: Mogol fa eseguire la traduzione una seconda volta perché il primo risultato non lo soddisfa. L’album inglese è comunque un fiasco, mentre quello italiano, spinto da Amarsi un po’ e Sì viaggiare, è il solito trionfo. Con Una donna per amico del 1978, Battisti comincia a servirsi quasi esclusivamente di musicisti e di studi di registrazione stranieri, sempre con ottimi risultati artistici: Prendila così, Nessun dolore e Una donna per amico rimangono tra i vertici del disco.
Arriva nel 1980 invece Una giornata uggiosa, che chiuderà l’esperienza della sigla Battisti-Mogol. Perché si sia rotto il sodalizio tra la coppia di maggiore successo della storia della musica italiana è uno di quegli argomenti troppo dibattuti perché si approdi a una verità serena: ma dev’essere successo come in quelle coppie in cui piccole fratture annose diventano improvvisamente faglie invalicabili.
«È l’esperienza di due persone che stanno diventando completamente diverse», dichiara Battisti ancora prima della rottura, che si consuma anche per motivi di denaro e di ripartizione dei diritti delle canzoni. Poi, com’è successo con almeno un’altra celebre coppia di autori musicali, c’è ovviamente chi ha dato tutta la colpa della separazione tra Mogol e Battisti alla moglie di quest’ultimo, secondo il sempre produttivo concetto cherchez la femme.
Velezia e Panella
Ma la verità sta forse nel fatto che Battisti continua a cambiare, a cercare, a espandere gli orizzonti, mentre Mogol rimane, più o meno, sullo stesso binario, come dimostreranno anche le esperienze successive dei due con altri collaboratori. Il primo dei quali, per Battisti, è Adriano Pappalardo, ma soltanto per le imprese di windsurf. Invece il primo disco post-Mogol è E già, i cui testi sono firmati da Velezia, cioè dalla stessa Grazia Letizia Veronese, che si cattura così ancor di più la nomea di Yoko Ono italiana.
In realtà ai testi collabora sicuramente lo stesso Battisti, che vuole dare un taglio deciso al periodo precedente, con un disco quasi del tutto elettronico e perciò più in linea con gli stilemi che l’elettropop degli anni Ottanta detterà a livello internazionale. Ma forse un po’ troppo avanti per i fan di Acqua azzurra, acqua chiara, che lo comprano con scetticismo. In realtà si tratta soltanto di un annuncio: dopo l’incontro con Pasquale Panella, Battisti metterà in commercio cinque album: Don Giovanni (1986), L’apparenza (1988), La sposa occidentale (1990), Cosa succederà alla ragazza (1992) e Hegel (1994).
Forse si possono anche trattare come un tutt’unico, perché hanno la medesima tendenza di fondo e ricevono più o meno la stessa accoglienza: diffidenza dei critici e sempre minor successo di vendite. Cose che succedono ai musicisti, ma di solito accadono perché, con l’età, il denaro, il successo e le comodità si perdono gli stimoli, si cessa di ascoltare e di aggiornarsi, si ottenebra quella curiosità e quella voglia di novità che dovrebbe essere la base di ogni prospettiva artistica che si rispetti. Battisti ha invece minore successo proprio per i motivi opposti: è sempre due passi avanti rispetto al suo pubblico e a volte tre rispetto ai suoi critici, è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, non si accontenta e soprattutto piuttosto che suonare all’infinito La canzone del sole preferirebbe smettere con la musica.
Poi, nel dettaglio, si possono contestare le singole scelte artistiche dei vari dischi, per lo più definiti noiosi, ma è abbastanza evidente, soprattutto ora che si è depositata su quegli album la patina degli anni, come la ricerca di Battisti, la sua attenzione ai suoni della musica internazionale (finisce per accostarsi perfino alla techno e al rap qualche annetto prima di Fabri Fibra o dei Club Dogo), l’apertura mentale dimostrata siano forse degne di un giudizio critico un po’ più approfondito. Gli ultimi anni di vita di Battisti si districano tra voci infondate di un riavvicinamento con Mogol, possibili nuovi album, beffe giornalistiche come quella orchestrata da Franco Zanetti che s’inventa il finto album L’asola.
Mai un passo indietro
È la fine di agosto del 1998 quando si diffonde, come sempre tra contraddizioni, mezze smentite e mezze conferme, la notizia del ricovero di Battisti in una clinica milanese. Il ricovero durerà undici giorni, ma senza bollettini medici, come una persona qualunque. Il 6 settembre le sue condizioni si aggravano e l’8 è trasferito nella terapia intensiva dell’Ospedale San Paolo di Milano: morirà il mattino successivo, all’età di cinquantacinque anni; le cause della morte non sono mai state comunicate ufficialmente, ma le voci parlano di un non meglio precisato tumore.
Ai funerali, celebratisi in forma strettamente privata a Molteno, si ammettono venti persone, tra cui Mogol. Nonostante i tentativi di protezionismo da parte della moglie, che ha fatto cancellare cover, pubblicazioni di tributi, festival, video e qualsiasi altra forma di omaggio, Battisti rimane una voce forte, fondamentale per il panorama musicale italiano: è il cantautore più ascoltato, citato, scimmiottato, apertamente scopiazzato della nostra storia. Questo vale soprattutto per il primo Battisti, quello sdoganato dal successo di pubblico: del secondo Battisti sembrava quasi persa la memoria, come fosse una vergogna tardiva, frutto di una malcelata demenza senile arrivata troppo presto.
E invece l’ultima generazione di cantautori, da Calcutta a Colapesce, da Truppi a Iosonouncane, dimostra di avere bene impressi quegli ultimi dischi, più difficili ma non meno interessanti. Certo è difficile cogliere tutti gli aspetti di una personalità così complessa, di un lavoro così sfaccettato, di una tendenza così sfrenata e così poco italiana a guardare sempre avanti. Si può naturalmente criticare la musica di Battisti, ma, anche impegnandosi allo stremo, non si potrà infatti riscontrare un passo indietro, un rimirarsi allo specchio, un adagiarsi sui tanti allori conquistati fino a quel momento. Come Pompeo, sulla sua nave avrebbe potuto scrivere che vivere non è necessario, necessario è navigare. Sempre in cerca di mari nuovi, anche senza muoversi dalla Brianza velenosa.
Comments
Massimo Iannilli
Alle 6 di mattina,per essere il primo a comprare da RICORDI,”Anima Latina”,”Lucio Battisti la batteria il contrabbasso eccetera””Io tu noi tutti “