armaud (foto Simona Maria Cannone)

Con un nome dal suono francese e con una buona dose di mistero, gli armaud si sono presentati forti, per ora, di un singolo e video, Patterns, che puoi vedere e ascoltare a fine intervista.

Patterns è il primo estratto dal nuovo (e primo) disco di armaud, delicata e fluida formazione tra Amsterdam e Roma nata dalla trombettista, cantante e chitarrista Paola Fecarotta, attualmente trio grazie all’apporto artistico di Marco Bonini (Mamavegas) e Federico Leo. Il disco uscirà in autunno, mentre il primo singolo è accompagnato dal videoclip uscito a giugno 2015. Ecco l’intervista con Paola.

Puoi raccontare le origini del progetto e la ragione del nome “armaud”?

Il progetto nasce ad Amsterdam più o meno un anno fa. Un giorno, quasi per caso, ho preso in mano la chitarra e ho cominciato a  scrivere canzoni ed è venuto tutto molto naturale. Senza che me ne rendessi conto mi sono ritrovata con  un buon numero di pezzi pronti per essere suonati e ascoltati. I primi concerti li ho fatti da sola, chitarra e voce.

E’ stato un passaggio importante per vincere la timidezza e per mettermi alla prova, ma In seguito ho sentito il bisogno  di sviluppare   il progetto con l’aiuto di altri musicisti. e così è nato il disco. Il nome viene dal cognome di mia nonna paterna, “armò”, che originariamente si scriveva appunto “armaud”. Oltre al legame affettivo mi è sempre piaciuto il suono della parola. lo trovo molto morbido.

Come nasce “Patterns”, primo singolo e video?

La prima versione embrionale di ” Patterns” è nata in studio, mentre registravamo dei brani che poi sarebbero finiti su un minialbum che abbiamo usato come promo durante l’anno passato. Ricordo che mi avevano chiuso in cabina per fare il suono di voce, e quando i fonici finirono di fare il suono tra Compressori ed Eq io avevo già la melodia e gli accordi delle strofe.

E’ nato così, poco tempo dopo abbiamo ridefinito il pezzo insieme a Marco ad Amsterdam, arrangiandolo in maniera diversa da come è oggi. Una volta arrangiati e registrati i brani eravamo indecisi su quale potesse essere un pre-singolo, abbiamo scelto Patterns, forse perché ha questa batteria dritta e ossessiva e il basso potente, ma in realtà se ci pensi non è fatto un brano da singolo, prima che entri la batteria c’è un bel minuto e mezzo di sola voce e chitarra e manca di un vero e proprio ritornello nel senso classico, nonostante questo ci sembrava abbastanza rappresentativo.

Armaud e le influenze miscelate

Un solo singolo alle spalle ma già svariate esperienze sui palchi di tutta Europa. Suonate in prevalenza materiale vostro o anche qualche cover? Nel caso, quali?

Suoniamo quasi esclusivamente materiale nostro ma ci piace tantissimo anche reinterpretare dei brani, dal vivo almeno 2 o 3 cover le facciamo quasi sempre, ci piace però stravolgerle, è molto difficile che manteniamo l’assetto armonico originale, la cosa bella del fare una cover è proprio snaturarla, per esempio dal vivo è capitato spesso di fare Ritornerai di Bruno Lauzi ma in una versione con tutti gli accordi stravolti, minori al posto di maggiori, dissonanze sparse, la gente viene spiazzata.

Ultimamente invece suoniamo spesso Cosa Resta di Piero Ciampi, perché ha un testo straziante e ci piace che il pubblico soffra un po’ con noi. In generale scegliamo cover poco conosciute e di artisti non proprio del “momento”. D’altra parte essendo un omaggio non vediamo il motivo di interpretare canzoni o artisti che sono già appagati dalla notorietà.

Siete già pronti per un ep/lp? Assomiglierà molto a “Patterns” o bisogna attendersi qualche sorpresa?

Il nostro primo album uscirà a ottobre per Lady Sometimes Records e sarà un Long Playing con 10 brani. Non mancano episodi simili a Patterns ma ci sono anche momenti molto diversi, diciamo che sono tutte “canzoni” nella forma e nella sostanza, ma ci saranno anche brani meno movimentati e più eterei, soluzioni leggermente più “avant” in alcuni casi, molta elettronica e non mancheranno anche episodi acustici.

Né io né Marco siamo particolarmente legati a un “genere” specifico, entrambi ascoltiamo musica proveniente da tutte le epoche e da tutto il mondo. Quindi il disco, pur mantenendo una coerenza di stile e scrittura in realtà è pieno di influenze miscelate. C’è il rock con cui siamo cresciuti, ma anche l’elettronica con cui poi siamo maturati, c’è il jazz che abbiamo studiato, la musica classica come il folk e cose lievemente più sperimentali. Non ci preoccupiamo molto del tipo di musica che facciamo o di dove possa essere venduta meglio. Come diceva Bill Evans esistono in fondo due tipi di musica. Quella bella e quella brutta. A noi interessa fare cose belle.

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