Recensione: Samurau, “Things Left Unsaid”
Dopo anni di reciproca conoscenza, Michele Sanna (chitarre) Matteo Muntoni (basso) e Alessandro Garau (batteria) hanno deciso di provare una combinazione delle tre potenzialità, e hanno fondato Samurau, un progetto molto vicino al jazz, con qualche stilla di blues e di rock. Il risultato di questa connessione sono le otto tracce struentali che compongono Things Left Unsaid.
Samurau traccia per traccia
[bandcamp width=60% height=42 album=4153514541 size=small bgcol=ffffff linkcol=0687f5]Il blocco di partenza del disco è Go Ahead, tre minuti scarsi dedicati a introdurre un mood molto soffice e contenuto, chiaramente influenzato dal jazz, con il drumming che si incarica di fornire elementi di inquietudine. Più movimentato il panorama di Dangerous Squares, altrettanto calata nei modi del jazz, in cui i dialoghi fra chitarra e basso forniscono la spina dorsale del brano.
Toni bassi e ritmi molto contenuti per Novecento, ma anche in questo caso l’atmosfera non è rilassata, semmai leggermente increspata da rivoli malinconici. Doppia vita quella di Freezing Frog/Strange Blues: si parte da passaggi ripetuti ed echi, per cambiare ritmo e scontrarsi con istanze più marcate e suoni che si induriscono. Il finale è veramente blues, con la chitarra elettrica che si prende il centro della scena, alla maniera di Gary Moore.
La struttura di Sevilla è in continuità con il brano precedente: anche qui la chitarra è protagonista, l’atmosfera è blues e la sezione ritmica si sposta discretamente sullo sfondo. Interviene il sax di Gavino Murgia a dare colori più diversificati all’interno di Things Left Unsaid, la morbida title track.
La lunga Goteborg’s Light inizia con calma e cautela e cresce piano piano, soprattutto a bordo di un riff ripetuto a loop. Poi il discorso si acidifica e fa pensare a evoluzioni in stile King Crimson, con assoli prolungati e sempre più incattiviti. Chiusura affidata a Killer Wave, che a dispetto del nome pericoloso è al contrario molto tranquilla e pacata, almeno fino alle evoluzioni chitarristiche finali, che però non stravolgono l’assunto.
La formula che sta dietro i Samurau non è particolarmente sperimentale: si intravvede anzi la propensione dei tre musicisti a guardare alla tradizione prima di tutto. Ciò detto, il disco è piacevole, sensato e mette in rilievo le ottime qualità dei tre.