Neil, “Black Flowers”: la recensione
Prima con gli Hope Leaves, con cui incide una demo nel 2006, poi da solista con l’album di debutto “Apart” nel 2011, Neil si è presentato al pubblico come cantautore, autore di testi in inglese. Oggi pubblica Black Flowers, che contiene un rock che nasce dal folk ma che prende strade spesso piuttosto risolute.
Il disco è ispirato da Spleen et Idéal, una delle cinque sezioni di cui si compone Les fleurs du mal di Baudelaire. L’album è stato prodotto in Sicilia da Paolo Messere (Blessed Child Opera) ed è uscito per Seahorse.
Neil traccia per traccia
Si parte dalla piuttosto mossa Spleen, che contraddice il titolo con una quantità di attività e di influenze indie che avrebbero probabilmente scioccato Baudelaire. Anche Blank Sheet si caratterizza per un vestito rock e un drumming sostenuto, caratteristiche che hanno portato alla scelta di questo pezzo come singolo.
Si rallenta un po’ con My Tired Heart, che aggiunge qualche coro e qualche sussurro in più. Si procede con Chains, aggressiva anche se parte piano. Qualche residuo folk rimane nelle fondine di un rock influenzato dall’indie.
Promise abbassa i toni e fa emergere la chitarra acustica, anche se da metà canzone in avanti il panorama cambia. Clown alza di nuovo i ritmi con decisione, mentre The Meaning Fades veste gli abiti della ballad, ma con qualità nervose piuttosto evidenti. Not A Love Song porta alla mente l’atteggiamento di alcune band new wave.
Moth parte piano ma poi si anima. Si procede lentamente invece dall’inizio alla fine con Awaiting, che sceglie l’acustico e cerca soluzioni di intensità più che di potenza. La lunga Spleen II chiude il discorso, con qualche riserva di rancore ancora da smaltire.
Neil dimostra una certa versatilità, che lo porta a svariare su tutto il fronte che va dal folk al rock. Il risultato di questa mobilità è un disco piacevole, al netto di qualche scelta a volte un po’ troppo “facile”.