Si chiamano Polaris, sono un “progetto” e non una band “chiusa”, e di sé parlano così: “è uno strano progetto dadaista. Puzza di alcol e anni 70, sudore e oscurità”. Un bel quadretto, non c’è che dire. Però nel disco omonimo ci sono vaste dosi di sax, post rock e qualità, come in un incontro felice, che ha visto protagonisti Dario Nistri, Gabriel Di Maggio, Mitch Coda, Andrew Casa Apice e, per cinque canzoni, Robert Barrett. Ecco la nostra intervista con loro.
Descrivete Polaris come l’incontro incestuoso tra Coltrane e lo Space Rock (il che presupporrebbe una parentela fra i due. Ma comunque) e altri generi consimili. Qual è la vostra estrazione musicale e come siete approdati a suonare insieme?
Casa Apice: premessa circa “ l’incestuosità” tra Coltrane e lo Space rock. E’ stato motivo di discussioni animate anche all’interno del gruppo. Secondo me, le due cose sono strettamente collegate o in qualche modo interconnesse se intendiamo il termine “SPACE” nella sua accezione più larga… il sound “space” è infatti caratterizzato dall’uso sperimentale dei suoni distorti di chitarra e synth. Ecco, diciamo che il Coltrane più sperimentale (per interderci, quello di “Interstellar Space”…) sostituì (o inglobò) il suono della chitarra e dei synth con quello del sax, che nell’album assume una posizione totalizzante e toccando vette di sperimentazione mai viste prima nel jazz (era infatti più free del free-jazz…!!).
L’estrazione musicale è decisamente “instabile” nel senso che ognuno presenta delle sue caratteristiche ben distinte. Dario Nistri (il batterista) per esempio ha spaziato nel corso della sua “vita artistica” tra l’hard rock e la darkwave, tra il progressive e il synth pop. Mitch Coda (bassista) ha un’estrazione decisamente più stoner.
Gabriel Di Maggio ha invece un’estrazione orientata verso il jazz (è stato allievo a Bologna del maestro Antonio Marangolo). Io invece sono sempre stato affascinato dal concetto di “spazio” e ho cercato di fagocitare il più possibile la lezione impartita da gruppi tipo Ash Ra Tempel e Tangerine Dream…o i primi Porcupine Tree, guardando comunque al presente. Sul come ci siamo trovati a suonare, beh…è un mistero! Possiamo dire che il nostro è stato un vero e proprio esperimento… volevamo vedere come le nostre varie anime musicali potessero fondersi tra loro (e il risultato sembra essere interessante…).
Quanto c’è di “impro” e quanto di pianificato nei vostri brani?
Dario Nistri: TUTTO E NULLA (ride).
Gabriel Di Maggio: TUTTO è completamente improvvisato, con i pro e i contro che ne conseguono. Per qualsiasi musica si voglia suonare, l’importante è che si crei un flusso più o meno intenso dal quale possa nascere un pattern di batteria o un riff o un appiglio per partire e possibilmente approdare il più vicino possibile al momento dove tutto si fa luce. Questo succede solo con l’improvvisazione…
Mitch Coda: da parte mia c’è una pianificazione a monte nella ricerca di brevi frammenti o riff che possano essere in linea col “Polaris sound”.
Il vostro approccio come band è comunque molto jazz, visto che dichiarate di non essere una band stabile ma un progetto in evoluzione. Quali sono le basi irrinunciabili sulle quali costruirete anche i progetti futuri?
Dario Nistri: la base irrinunciabile è la componente impro. Il nostro è un progetto in continua evoluzione e per il futuro, chi vivrà vedrà (anche il futuro per i POLARIS presenta una forte componente di improvvisazione!).
Come nasce “Bible Black”, a mio parere uno dei vertici del disco?
Mitch Coda: nasce dal periodo forse più “black” di tutti i componenti dei POLARIS fra crisi, relazioni finite male o malissimo e problemi di salute. Questo è stato trasmesso inevitabilmente in musica, senza che ce ne accorgessimo realmente.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Dario Nistri: Ludwig Rockers del 1978 con Supraphonic 1971, piatti Sabian HH ;
Mitch Coda: Fender Jazz 4 corde, pedale Fuzz/WhaWha + overdrive (il tutto su ampli Ashdown) ;
Gabriel Di Maggio : sax tenore Rampone Cazzani r1 jazz con bocchino Jody’s Jazz + sax soprano Selmer Super Action 80 serie III con bocchino Ottolink ;
Casa Apice: MiniMoog Model D del 1975 + organo Gem Riviera (adoro terribilmente il suo Vibrato…).
Potete descrivere i vostri concerti?
Casa Apice: Per scelta condivisa, abbiamo deciso per il momento di dedicarci esclusivamente alla componente compositiva, tralasciando l’aspetto live. Siamo già proiettati verso un nuovo lavoro in studio. Non sappiamo ancora dove ci porterà e la cosa ci incuriosisce terribilmente…
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Dario Nistri: non sono onestamente un amante dell’indie italiano ma trovo in Motta e Levante qualcosa di interessante ;
Gabriel Di Maggio: non saprei…al momento sono fermo al 1977 ;
Mitch Coda : The Winstons e Julie’s Haircut senza alcun dubbio !!
Casa Apice: Julie’s Haircut. Per attitudine sono la band che più si avvicina al nostro modo di intendere la musica. E tra l’altro sono terribilmente affascinato dal sax di Laura Agnusdei…. ;
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Gabriel Di Maggio: “Heyoke” di Kenny Wheeler, “Body and soul” di Dexter Gordon e “Olè” di John Coltrane ;
Mitch Coda: “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd, “Bela Lugosi’s dead” dei Bauhaus, “Reflection” dei Tool ;
Casa Apice: sintetizzare con solo 3 brani è impresa ardua…!! Te ne dico 5… “Vertiginous Inversions” dei Fuzz Against Junk (gruppo pazzesco), “Propiedad Prohibida” di Franco Battiato (un alieno…alla sua morte dovrebbero studiarne il cervello…), “Facelift” dei Soft Machine , “Lark’s Tongues in Aspic pt.1” dei King Crimson e “Saturday” degli Yo la Tengo.
Dario Nistri: la musica di Pietro Umiliani più in generale. E quella dei cartoni animati….
Polaris traccia per traccia
Piuttosto scintillante, risonante ma anche un po’ inquietante Lovers and Giants, il primo passo dentro l’album. Ma le caratteristiche che verranno sono già tutte presenti, in un pezzo che ha qualcosa di agghiacciante nel modo di procedere.
Il carattere astronomico del disco dovrebbe essere accentuato da Cassiopea, che però risulta essere un brano piuttosto ancorato a terra, soprattutto “per colpa” della sezione ritmica, mentre il sax si permette svolazzi molto “free”. Dawn to Dusk inizia piano e poi cresce in maniera progressiva, anche se senza rinunciare al proprio aplomb. E’ la chitarra che in questo caso si prende la scena, pur senza voler dominare a tutti i costi.
Dreamscape parte invece da basi più minimal, costruendo per pezzi piccoli. Con un titolo evidentemente crimsoniano (ma in quante band di oggi rispuntano, di tutte le band anni Settanta, proprio i misteriosi e complicati King Crimson?) Bible Black apre le porte a un percorso notturno e tortuoso, con un organo che si afffaccia da lontano, dietro le spalle del sax.
Run Run Run, come suggerisce il titolo, alza i ritmi e pensa in maniera più intensa e incidente. Space Junk invece giostra in ambito più jazzistico, facendo dialogare chitarra e sax, con un minaccioso basso continuo che opera in sottofondo, salvo accelerare e diventare molto acida verso metà pezzo.
C’è qualcosa che gratta sul fondo di Improvattack, che poi prende forme fluide e ben costruite nel percorso, con una sfuggente citazione dei Radiohead sul finale. Si torna al terreno, e a sensi quasi blues con Lay Down, l’unico pezzo cantato, in modo piuttosto acido, da Nistri, che è anche il batterista nel disco. Una possibile evoluzione in senso psych rock, sentito il pezzo, è più che possibile. La chiusa è affidata al molto curioso allarme di Last message on Earth.
Un disco davvero consistente, quello dei Polaris, che dimostrano idee chiare e potenti, cultura musicale “alta” e ottime capacità di esecuzione.