matteo benniciUn esordio, quello di Matteo Bennici, preceduto da altre vite musicali precedenti: il violoncellista, ma anche bassista, per esempio con Le Luci della Centrale Elettrica. Si chiama Solum il disco, caratterizzato da dieci brani, tra cui The Exodus, che TRAKS ti propone in free download. Lo abbiamo intervistato.

Puoi raccontare la tua storia fin qui? 

Sono nato e cresciuto a Firenze e faccio musica fin da bambino, grazie alla mia famiglia di musicisti e musicofili. Ho iniziato con il violoncello, poi è arrivato il basso elettrico insieme al rock in tutte le sue declinazioni e deviazioni. Sono stato anche un contrabbassista ma tempo fa ho deciso di smettere e riprendere il violoncello, chiudendo il cerchio.

Ho suonato con un’infinità di musicisti e progetti, affrontato generi e forme molto diverse tra loro:  avanguardia, musica estrema, punk ma anche classica, folk, improvvisazione, elettronica. Ho sempre avuto uno spettro di ascolti gigante e nella musica ho passioni ovunque. I progetti più significativi a cui ho partecipato in passato sono stati Cryogen, Traumfabrick, Motociclica Tellacci, Tsigoti e Squarcicatrici ma potrei elencarne a decine. Non ho fatto studi accademici ma ho viaggiato un bel po’ grazie alla musica ed imparato quasi tutto strada facendo, dalle persone che ho incontrato.

Nel 2012 mi sono trasferito a Milano, città che sto imparando ad amare e che mi ha dato la possibilità di collaborare con altri artisti e confrontarmi anche con il pop, il rap e la canzone, sempre nel ruolo di bassista e violoncellista dal vivo. Col tempo il mio interesse primario è diventato la composizione: ho scritto tanta musica per il video, per la danza, per la moda e soprattutto per cinema e teatro, che sono i terreni compositivi che preferisco.

Come sei arrivato a decidere che era il momento di pubblicare un disco solista?

Tra il 2011 e il 2016 (periodo di gestazione di Solum) ho portato avanti il progetto Shestaya, in cui sonorizzavo dal vivo (in solo, con violoncello ed elettronica) alcuni estratti dai film di Dziga Vertov. Quel progetto ha fatto un po’ da spartiacque tra la mia attività ventennale con band e progetti e una fase di ricerca individuale, anche sviluppando materiale di Shestaya. Ho approfondito quindi il violoncello fino a farne il mio strumento principale, anche se la mia tecnica non è certo quella di un musicista classico. Infine ho cercato di creare un mondo sonoro originale fatto di effetti, rumori e ritmi inconsueti. Insomma, quando ho capito che la mia musica iniziava a camminare da sola, senza altri scopi o applicazioni, è nato Solum.

Quali sono le caratteristiche che, mentre scrivevi il disco, consideravi assolutamente irrinunciabili per il tuo lavoro e lo stile che volevi trasmettere?

In origine Solum aveva un sottotitolo, che poi ho deciso di non inserire: “music serves to create world“, cioè “la musica serve a creare mondi“. Mi interessava tracciare degli orizzonti con i suoni, generare dei luoghi non fisici che potessero interagire con l’immaginazione o persino con l’inconscio dell’ascoltatore. Ho cercato di lasciare i confini stilistici di questo album molto ampi, il che riflette da un lato mio concetto musicale attuale e dall’altro alimenta la prospettiva di un’ulteriore apertura in futuro.

Due parole sulla composizione di “The Exodus”?

The Exodus è una composizione di tipo modale, dall’evidente gusto arabo e porta questo titolo perché vuole evocare un lento esodo nel deserto. L’inciso centrale si ispira al canto devozionale dei muezzin. Sebbene si tratti di un’astrazione quasi cinematografica, non è un esercizio stilistico né tantomeno un “etnicismo”. Al contrario, The Exodus è un canto contemporaneo scritto col pensiero rivolto ai profughi di oggi, una musica non tradizionale in rispetto del loro dolore.

Chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

Posso citarne alcuni: Achref Chargui Trio, Jacopo Andreini, Sebastiano De Gennaro, Enrico Gabrielli, Big Mountain County, Daniela Savoldi, Emanuele Parrini, Silvia Bolognesi, Alberto Boccardi, Hate&Merda, Paolo Mongardi con tutti i suoi progetti, le etichette Lepers, Bubca, Dio Drone, 19’40”. Apprezzo questi artisti, insieme a molti altri, in primis per la musica che fanno, oltre al loro coraggio, all’ironia, alla qualità della composizione e l’intensità dell’esecuzione.

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