Alteria, “La vertigine prima di saltare”: la recensione

alteriaQuando una donna decide di cambiare, lo fa sempre in maniera decisa, ferma, potente. Cambiare direzione, aprire le finestre, far entrare il vento a scompigliare i pensieri e a creare un nuovo ordine disordinato, un caos creativo che segna l’inizio di una nuova versione di sé. Questa è l’esperienza vissuta da Alteria, alias Stefania Bianchi, che ha pubblicato il 6 ottobre scorso il suo primo album in italiano, intitolato La vertigine prima di di saltare, che fa seguito a esperienze precedenti di altro genere e in altra lingua, l’inglese, che è stato accantonato (a fatica, a quanto dichiarato dall’artista) ma che regala grandi soddisfazioni.

Riscatto, passione, riflessioni, amore e perdono sembrano essere i temi principali toccati dall’album, che è totalmente egoriferito e allo stesso tempo completamente vicino al vissuto di ogni ascoltatore, uomo o donna che sia, perché vicino ai piccoli grandi dolori propri dell’essere, fatto di fallimenti e di coraggio nel rialzarsi ogni volta. Le tracce sono undici e scorrono una dietro l’altra seguendo una sorta di filo conduttore, un crescendo di tensione e di passione, vissuto intensamente dalla voce di Alteria, dalle sfumature calde e colorate, accompagnate da un rock che, sì, catapulta negli anni Novanta, ma strizza l’occhio, ammiccando, all’elettronica e al mood contemporaneo.

Alteria traccia per traccia

L’album si apre con La premessa (la vertigine prima di saltare), una sorta di esame di coscienza in cui, su un flebile sottofondo gridano le paure di non essere abbastanza, e la voglia di salvarsi. Anello di congiunzione tra passato e presente, tra il vissuto e l’ancora da vivere, arriva Peccato, un rock potente dal giro di basso importante e dalle chitarre distorte che rimanda alle precedenti avventure musicali di Alteria, traghettandola verso i nuovi orizzonti. Riflessioni sugli errori commessi, sulle accuse facili e sui perdoni complessi, fino alla presa di coscienza che… non serve per forza scrollarsi di dosso le colpe.

Cuore demonio allontana l’origine della sofferenza, in un crescendo di ritmo che ricorda le atmosfere degli anni Novanta, fumose e indimenticabili, che sanno vagamente di malinconia. Che ti fanno prendere a due mani il coraggio di avere paura. Si prosegue sulla scia dei titoli biblici con Sacro e profano, la speranza di salvezza nonostante l’evidente difficoltà e l’impossibilità di comunicare il disagio che viviamo a chi ci sta intorno. Ma non è più tempo di stare da parte, e Alteria lo sa bene, aggiunge elettronica prepotentemente su melodie di base rock e inizia a modellare così la nuova versione di sé.

Sulla stessa scia è anche Santa pace, ricca di synth e con distorsioni vocali che contribuiscono a rendere convincente il pezzo. Avrò cura di me e delle mie debolezze viene ripetuto come mantra, per ricordare che il volersi bene è il solo e unico modo per avvicinarsi alla pace tanto agognata. Morbidamente si fa strada Diventare chi sei, dolce e morbida dedica alla figlia della cantautrice, traccia nata in inglese ma trasformata coraggiosamente in italiano, che diventa immediatamente un augurio di felicità alla piccola parte di sé che si lascia andare nel mondo. Una chitarra sola fa compagnia alla tenerezza della voce, che mostra nuove e convincenti sfumature.

Si ritorna presto sulla strada maestra, che porta lontano, In controluce. Nella prima parte si fa strada un vago sapore di una Carmen Consoli degli anni di Due Parole, come carica emotiva e come sensazione, come essere in bilico ma nello stesso tempo avere il totale controllo delle proprie fragilità, rendendole motivo di orgoglio e non cicatrici da nascondere. Lenta all’inizio, fino all’esplosione finale, una delle tracce più sentite del disco.

Insieme e soli è la traccia più movimentata del disco, vicina al punk con pause di più ampio respiro, in cui Alteria rimane a suo agio senza mai risultare forzata o fuori posto. Si prosegue con Passi fermi, un incespicare che non porta da nessuna parte, reso perfettamente dall’atmosfera creata dalla sezione ritmica e dalla chitarra sognante e sospesa, che prende la rincorsa fino ad arrivare al ritornello, fatto di vuoti che consumano e di richieste inesaudibili.

In chiusura troviamo Il mio vento, che poi è il vento di chiunque abbia riposto fiducia nelle persone sbagliate. Acqua, sole, mare e vento sarai e solleverai il deserto è la speranza con cui si trova un senso alla sofferenza, con cui si esce dalla vecchia pelle e si arriva alla libertà. L’ultima traccia, Taste, mantiene l’inglese nel titolo, ma lo fa solo in chiusura, a consolidare ciò che si è diventati senza dimenticare ciò che si è stati. Un equilibrio creato nel significato e nel sound, rumoroso e armonioso nello stesso tempo.

Il cambiamento è sempre frutto di esperienze toccanti, e in questo disco Alteria dimostra che dall’inquietudine di un momento possa scaturire una scintilla creativa in grado di emozionare non solo chi scrive, ma soprattutto chi ascolta. La vertigine prima di saltare è un esperimento, decisamente riuscito, di potenza vocale, di musica avvolgente e graffiante, di sofferenza e desiderio di elevazione.

Chiara Orsetti

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