Il 20 marzo uscirà “Proximi Luces”, il disco d’esordio dei Peregrines. A ottobre 2013 il gruppo registra l’album presso gli SC Studio di Mirabello con la collaborazione artistica di Silvio Centamore. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per approfondire temi e sonorità del disco.
Tanto per cominciare due parole di presentazione: qual è il vostro retroterra e da quali esperienze arrivate?
Possiamo dire di avere un background molto vasto dato che arriviamo tutti da esperienze molto diverse tra loro. Alcuni di noi hanno già avuto esperienze in campo artistico con altri progetti mentre per qualcuno è per la prima volta che si passa a un’esperienza concreta.
Possiamo dire che nasciamo tutti in ambiti differenti: chi arriva da gruppi di matrice rock, chi dal folk , chi dallo studio in conservatorio e dalla banda, chi da progetti personali. Tutta questa diversità di influssi porta a creare quella che è l’amalgama finale di suono che è frutto dell’incontro di queste sorgenti (non a caso la prima canzone del nostro primo disco, presto in uscita, si intitola appunto “watersprings” ovvero sorgente).
Il vostro nome, il nome dell’album, qualche titolo di canzone suggerisce un certo spirito religioso alla base della vostra ispirazione. Vero o falso? Da dove prendete ispirazione per i testi?
I testi nascono dalle nostre esperienze personali, dagli affetti, dai viaggi, dalle persone incontrate mentre portiamo in giro la nostra musica. L’idea del viaggio ci suggestiona molto e ancora più quella del “pellegrinaggio” ci affascina poiché aggiunge una componente quasi di misticismo al viaggio in sé, in fondo credo si possa parlare di spiritualità più che di religione. Questo inteso come una visione della natura, tema anche questo ricorrente, più come entità che non come luogo inerte.
Non avete paura dei pezzi “lunghi” e delle escursioni strumentali in un’epoca di “cotto e mangiato”. L’impressione è che il disco sia stato composto con scarsa attenzione all’orologio. Come sono andate le registrazioni e come nascono le vostre canzoni?
Abbiamo scelto di dare lo “spazio” necessario ai nostri pezzi, senza preoccuparci del tempo quanto più dell’armonia delle canzoni che stavamo sviluppando. È comprensibile che questo atteggiamento possa risultare anacronistico ma per noi è stato il naturale corso dello sviluppo creativo, sarebbe stato una forzatura cercare di imporre dei canoni alle nostre canzoni che sarebbero risultati sicuramente artificiosi.
Le canzoni sono nate all’interno della nostra sala prove dove possiamo lavorare indisturbati e senza limiti. Dopo un anno di lavoro e di arrangiamento abbiamo deciso di incidere il disco registrando all’SC Studio di Silvio Centamore che ha apportato il suo contributo artistico senza però mutare quello che già era stato creato.
Peregrines: un’evoluzione naturale
Inglese nei testi, latino nel titolo… Cattivo rapporto con l’italiano?
Non possiamo certo parlare di un cattivo rapporto con l’Italia, siamo molto legati al nostro territorio e siamo orgogliosi delle nostre radici. Possiamo però affermare che il cantato in lingua inglese è stata ancora una volta un’evoluzione naturale delle nostre influenze musicale per lo più artisti di matrice anglofona. Inoltre cantare in lingua inglese ci dà la possibilità di valcare i confini nazionali e di poter portare ancora più lontano il nostro pellegrinaggio musicale.
Vi riconoscete nella definizione “indie folk”? Personalmente ho trovato molte altre ispirazioni nella vostra musica. Quali sono i vostri capisaldi di riferimento e che generi di musica ascoltate?
Credo che negli ultimi tempi la definizione di “indie folk” sia stata leggermente abusata quasi se ne volesse creare un fenomeno a ogni costo, chiaramente sono emerse negli ultimi anni band di matrice folk e molte altre hanno “cavalcato il fenomeno” cercando di brillare di luce riflessa.
Con i Peregrines abbiamo cercato da subito di dare un’identità al nostro suono che non può essere definito in una sola parola proprio a causa della complessità delle sue radici. Come detto arriviamo da ambiti molto diversi tra loro, non solo il folk ma anche il rock il tutto condito dalle nostre passioni personali, generi che difficilmente possono essere accostati alla “scena indie folk” come il funky o l’interesse per le percussioni anche di natura tribale. Tutto questo penso abbia contribuito alla creazione di un suono complesso ma comunque riconducibile a noi.
Senza dubbio anche la musica che ascoltiamo ha portato alla fusione di elementi alla base dei nostri pezzi, doveroso citare America, Fleet Foxes, Bob Dylan tra tutti soprattutto per l’influenza che ha avuto su di noi.