La recensione: “Awakening of a Capital”, Free Nelson Mandoomjazz #TraKs
Si chiama Awakening of a Capital il primo disco full length del trio scozzese Free Nelson Mandoomjazz, che arriva breve tempo dopo il doppio ep The shape of DoomJazz to Come/Saxophone Giganticus.
Il trio è scozzese ma nella musica dei tre c’è qualcosa di italiano: intanto la scelta dello scultore sonoro Eraldo Bernocchi per il missaggio. E poi l’omaggio del titolo a “Risveglio di una città”, opera del musicista di inizio Novecento, futurista e teorizzatore del noise, Luigi Russolo.
Dopo il breve parossismo (nonché tributo) di Sunn Ra,si parte con The Stars Unseen, in cui il peso del basso, almeno a inizio brano, è preponderante. Il tentativo iniziale di tenere a bada il sax però fallisce in breve e le svisate dello strumento a fiato prendono in breve possesso della scena.
Un giro ossessivo di basso caratterizza anche l’incipit di The Heat of Heat and Greed, ma qui il climax è evidente e lo si scopre fin da subito. Anche la batteria partecipa al crescendo, ma la scalata si ferma di quando in quando per lasciare spazio all’ingresso di sonorità solenni e gigantiche.
Poking the Bear segue lo stesso schema con la sezione ritmica ad aprire la strada a un sax in crescita su ritmi piuttosto contenuti. Atmosfera differente in The Pillars of Dagon (con riferimento letterario all’universo lovecraftiano) in cui l’atmosfera si mantiene per lo più calma, fino a un furoreggiare noise nella seconda parte del brano.
Erich Zann (altra citazione da HP Lovecraft, scrittore largamente citato in ambito musicale) prevede il suono del sax alzarsi quasi solitario su uno scenario che però cambia progressivamente, fino a formare momenti a pressione variabile, con atmosfera più o meno rarefatta.
Un largo giro di basso alimenta le oscurità di Slay the Light, prima che il sax arrivi ad altezze improbabili. Nell’ultima parte gli strumenti sembrano scambiarsi le parti, modificando un tessuto sonoro che non si stabilizza mai del tutto. Più tranquille le idee di base di Beneath the Sea, anche se qualcosa si muove in fondo.
C’è molta sapienza nella costruzione di questo disco, da parte di un trio che sa utilizzare al meglio gli elementi che ha a disposizione. I contrasti tra il sax di Rebecca Sneddon e la sezione ritmica di Colin Stewart e Paul Archibald arricchiscono un disco robusto e dotato di molte risorse.
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