Marlene Kuntz @ Phenomenon: il report
Foto e testo di Fabio Alcini
Lo scrivente aveva quasi 26 anni quando uscì Ho ucciso paranoia, il terzo disco dei Marlene Kuntz, di scena questa sera al Phenomenon di Fontaneto d’Agogna (Novara), per il tour che celebra i trent’anni della band e i venti del fortunato album.
Ventisei anni sono quell’età in cui non sei più un ragazzo e quindi i furori passionali dell’adolescenza incominciano un po’ a quietarsi, ma non sei nemmeno ancora a tutti gli effetti l’adulto, il trentenne, il maturo. Perciò con curiosità appassionata che lo scrivente si addentrò in questo disco ribollente e fluido, capace di alti e bassi improvvisi e portatore di suoni che sì avevano debiti con il rock alternativo americano e inglese, ma che annunciavano qualcosa di molto nuovo.
Quando pubblicarono Ho ucciso paranoia, i Marlene non erano certo degli esordienti: nati nel 1987, avevano già alle spalle due monumenti dell’alternative come Catartica e Il vile. Ma forse fu quello il disco, uscito anche in edizione comprendente le numerose spore, in cui la band di Cuneo cambiò passo, comprese tutte le proprie forze e le proprie debolezze, e si stagliò come una delle band maggiormente simboliche del periodo.
Ma veniamo al concerto: il Phenomenon di Fontaneto non è proprio pienissimo (e poi uno si chiede come mai in Piemonte i concerti importanti scarseggino) benché il posto sia accogliente e vicinissimo a un’uscita autostradale, ampio parcheggio e tutto. Va be’.
Si parte in acustico, di modo da avvicinarsi piano al cuore del concerto, cioè l’esecuzione integrale di H.U.P. E si parte da Lieve, che arriva invece da Catartica, per un’introduzione tutto sommato morbida ma già in parte nervosa. Cristiano Godano di nero vestito (ma con i mocassini bianchi) siede in mezzo ai compari Luca Bergia e Riccardo Tesio (i due fondatori del gruppo) nonché ai due acquisti più “recenti” (dal 2007, non da ieri) Luca “Lagash” Saporiti e Davide Arneodo.
Il secondo brano è Ti giro intorno, da Il vile, a conferma di una vocazione passatista, ma tutt’altro che nostalgica, del concerto. Godano poi inizia a raccontare le canzoni, e parla di Mandel’štam e di sua moglie Nadežda per annunciare la storia di sentimento e di dolore di Osja, amore mio.
E c’è molto da parlare per annunciare il brano successivo, che la band si sente di eseguire benché oggi venga ritenuto un canto “divisivo”, ma di cui c’è bisogno come non mai: e parte Bella ciao. E’ vero che il set è acustico, ma non per questo è soffice e dispensa soltanto carezze: anche da seduti i cinque sanno rendere al pubblico alti livelli di energia.
Si prosegue con L’artista, ad affrontare un argomento, quello del rapporto con l’arte e il genio, tipico e costante nelle liriche del gruppo. Sapore di miele è proposta in situazione quasi country rock, con le percussioni che prendono il posto del drumming e Tesio che passa al basso.
Si prosegue con la quasi caposseliana Fantasmi, che come la precedente è presa da Uno del 2007, con uno scheletro che balla sul megaschermo alle spalle. E poi fine della prima parte, quella acustica ed evidentemente introduttiva.
Ho Ucciso Paranoia live in Fontaneto d’Agogna
Perché poi si parte con l’esecuzione integrale di Ho ucciso paranoia, seguendo la scaletta in modo fedele. Quindi partendo da L’odio migliore, e partendo fortissimo: la band si riveste di elettrico e di psichedelia, comincia a regalare sferzate che vanno verso il noise, sembra che le luci si accendano tutte insieme.
Anche in brani come L’abitudine, teoricamente più tranquilli, una scarica elettrica sembra percorrere il palco e diffondersi tra il pubblico, non oceanico ma evidentemente appassionato.
Profili punk si mostrano in pezzi come Le putte, maniacale descrizione di una giornata alle elementari. Infinità propone uno dei punti più alti del disco e del concerto: quando i Marlene riescono (e ci riescono) a far coincidere poesia e rabbia repressa si raggiungono vette altissime.
Le volute ampie di Una canzone arresa vanno anche più in profondità e nell’oscurità con la versione dal vivo. Le percussioni marziali di Questo e altro arrivano a riportare al centro del palco sentimenti psichedelici e distorsioni: “Certe cose son da fare”.
Ineluttabile si presenta anch’essa in veste più ruvida, Godano alza la voce quando su disco sussurra, ma è il gioco degli equilibri del live. E comunque non si esce mai troppo dallo spartito, se non per corroborare di senso i pezzi.
L’ambigua e cattiva Lamento dello sbronzo regala tutta la sua finta autostima poco dopo. Si procede verso Il naufragio, profilata alta e con ritmi consistenti, verso rotte perdute che conducono nel maelstrom della spora n. 5.
Si riparte a tutta velocità con In delirio, che prosegue con il viaggio in alto mare e con il pensiero della propria Penelope. E naturalmente con il finale urlato e distorto: “Vago nel folto di fronde in delirio”, prima che parta la spora n. 27.
Chiude il disco e il discorso Un sollievo, sollievo invero molto ricco di magma e oscurità, che arriva anche qui per vie traverse e non senza sofferenze. Sarà veramente morta, Paranoia?
“Impressioni” e altre impressioni
Si arriva così a voltare pagina. E per farlo i Marlene imbracciano Impressioni di settembre, il classico della PFM ormai diventato classico anche loro, specialmente con la coda finale rumorosa e psichedelica.
Il genio (l’importanza di essere Oscar Wilde) segue, a proclamare ancora la discrasia tra desideri e realtà. Il brano probabilmente più noto della band è La canzone che scrivo per te, realizzata tempo fa insieme a Skin, che arriva suadente subito dopo. Si rimane sul morbido e sul lato profondamente poetico con la più recente Bellezza.
Si parla di zone rosse e di botti con A fior di pelle, che arriva subito dopo e si veste di punk, con il ben noto grido: “Ci sono istanti che vivere è una merda/ che vada a fuoco poi è pur sempre una scoperta”. Si apre perfino una parentesi di pogo.
Nuova pausa e poi uscita per il finale. Godano disserta sui pezzi richiesti dal pubblico, con una serie di “potremmo fare” chiusa poi da una decisione autonoma. Certificata dal fatto che quella che faranno “Vi piace”. E infatti, piace: si tratta di Nuotando nell’aria, cantata da tutti.
Quando parte la finale Sonica, ci sono templi e statue classiche che si sgretolano alle spalle di Cristiano, imperatore magro del suono di un mondo in crollo, perfino benedicente nel finale.
Lo scrivente sa che ci sono 26enni che leggono queste parole oggi. Lo scrivente augura che anche ai 26enni di oggi capiti un disco così, un concerto così, una band così. Per citare le due parole di chiusura di Ho ucciso paranoia, “Tutto qua”.