Quintetto della zona romana, gli Oktopus Provance sono nati nel 2012 e hanno pubblicato due lp intrisi di rock con qualche traccia di stoner, alternative e progressive. Underneath the Sun è l’ultimo lavoro. Abbiamo rivolto loro qualche domanda.

Cominciamo dalle presentazioni: chi sono gli Oktopus Provance e qual è il motivo del nome?

Gli Oktopus Provance nascono nel 2013 da un gruppo di amici legato dalla voglia di ricercare e fare nuova musica. Quasi tutti i membri provengono da precedenti esperienze musicali, spesso prime esperienze, ritrovandosi poi a creare qualcosa di nuovo insieme.

Il nome del gruppo è nato per gioco, spesso ci divertivamo a dare nomi strani e divertenti a nuovi riff. Possiamo definirlo un neologismo anglofono proveniente dalla storpiatura della ricetta del polpo alla provenzale francese. Fu in realtà proposto per la prima volta durante una sessione di prove improvvisata ed a distanza di tempo è stato poi scelto come nome della band.

Inizialmente il gruppo era formato da Michele, Federico, Cristian e Marco. Nei primi anni abbiamo composto il concept album The Crystal Dream of King Octopus, con radici rock psichedeliche, basato su una storia che scrisse Federico, ispirato dal nome del gruppo. Questo ci ha permesso di conoscerci meglio a livello musicale e personale, facendo maturare in noi l’idea di comporre qualcosa di più elaborato e di sperimentare nuovi suoni. Si aggiunge così Luca al synth per consolidare l’idea del nostro nuovo sound e infine dare luce dopo anni di lavoro a Underneath the Sun.

Mi sembra che nel vostro sound si incontrino (e talvolta si scontrino) istanze del progressive anni ’70, con qualche evidente riferimento anche visivo ai King Crimson, e suoni molto più vicini ai 90s. Sono questi i punti di riferimento? Ne avete anche altri?

I King Crimson rappresentano sicuramente uno dei nostri principali punti di riferimento, seppur il nostro attuale sound è nato dopo un amalgama di diverse influenze e generi musicali. Rimanendo nei ’70 una forte contaminazione viene dai Black Sabbath, ma anche i Led Zeppelin e i Pink Floyd hanno dato il loro contributo. Andando nei ’90 la principale band che ci accomuna sono sicuramente i Soundgarden, e teniamo a citare anche i Melvins, i Massive Attack e i Tortoise. Tra le band più “moderne” ci sono gli A Perfect Circle, i Mono e i Pelican che hanno in parte influenzato il nostro sound.

Questo ha dato come risultato un album che a volte sembra essere aggressivo, cupo e altre volte più onirico. Di certo non è un sound a cui avevamo pensato all’inizio, ma dopo qualche anno suonando insieme si è semplicemente definito così com’è, grazie soprattutto al contributo di ognuno di noi, con influenze diverse, sulla composizione dell’album.

Da quali premesse è nato l’ultimo lavoro Underneath the Sun?

Underneath the Sun è un lavoro che ha goduto di una lunga gestazione. I vari brani sono stati composti in momenti diversi, e anche a molta distanza l’uno dall’altro, e “testati” (soprattutto all’inizio, quando stavamo definendo il nuovo sound) durante alcuni concerti.

La differenza con il nostro primo lavoro sta nel metodo di creazione dei brani. Prima lavoravamo velocemente e basavamo i brani sullo storytelling dei testi che erano già pronti e scritti come capitoli di una storia, questo ci permetteva di pensare alla musica in modo più rapido e naturale. In questo secondo disco il sound è più duro e i brani sono più elaborati e riflessivi, abbiamo scritto prima la musica (partendo da un riff e sviluppandolo in forma di episodi oppure addirittura scrivendo il brano per intero ed elaborandolo durante le prove) cercando di andare in una direzione per noi completamente diversa dal solito.

Le tematiche affrontate in Underneath the Sun sono comunque relative al “viaggio” metaforicamente inteso come ricerca di se stessi, di una condizione migliore, di sviluppo o di isolamento. Nei testi vengono anche proposte immagini di scenari naturali distopici, di una terra che si sgretola sotto il peso dell’azione umana e della volontaria e desiderata solitudine.

Mi sembra che Active Generator sia un po’ il cuore del disco: come nasce?

Active Generator è il primo brano che è stato scritto e composto per questo album. L’idea di base iniziale era completamente differente da quella che poi è stata la realizzazione finale: originariamente era stato pensato come il primo di tre brani che sarebbero andati poi a comporre un piccolo concept album; successivamente questa idea venne però accantonata. Il brano può essere anche considerato un ponte di collegamento diretto con il nostro primo lavoro, in quanto venne composto poco dopo la sua pubblicazione.

C’è inoltre da sottolineare che nel corso del tempo è stato l’unico brano che ha mantenuto la sua struttura e la sua composizione inalterata (salvo qualche piccola miglioria) rispetto agli altri di Underneath the Sun. Questo perché essendo partito tutto da lì, l’album si è poi sviluppato, seppur per un lungo periodo, da quella idea di sound che siamo riusciti a creare con Active Generator.

Quali sono i vostri progetti da qui in avanti?

Per ora non ci sono nuove composizioni in vista, abbiamo intenzione di promuovere l’ultimo lavoro e cercare di farlo ascoltare a un pubblico più ampio.

Attualmente alcuni di noi sono impegnati in progetti paralleli già dalla fine delle registrazioni del nuovo album: Marco sta componendo un nuovo ep solista e Michele ha fondato una nuova band con influenze stoner e post-metal; Cristian suona in una band power pop, mentre Federico sta portando avanti diversi progetti jazz.

Le nostre passioni e i nostri impegni ci hanno portato a fermarci per un po’, ma la voglia di comporre qualcosa di nuovo come Oktopus Provance tornerà molto presto.

Oktopus Provance traccia per traccia

La prima traccia del disco è Rocks of the Plastic Ground, che sin dai primi battiti rivela una certa fascinazione nei confronti del rock 70s, soprattutto dalla parte crimsoniana del cielo, ma qualche traccia di post gunge emerge qui e là.

Con The Seahouse Keeper si passa a movimenti più oscuri, che però non contraddicono le schitarrate che corroborano il brano.

Il cielo si fa scuro con Black Flowers, sulle prime tranquilla, poi sempre più ricca di oscurità e di minaccia.

Arriva da lontano e un po’ per volta Eclipse, che tuttavia scivola via in breve. Invece si allunga parecchio Active Generator, che però comincia con un impatto molto forte e robusto, salvo poi allungare le onde e diluire il movimento, fino a esiti psichedelici.

Si abbassano le luci con Ampersand, molto melodica ma con vibrazioni sotterranee che si muovono in modo inquieto. E infatti la tempesta sonora alla fine esplode in tutta la sua potenza.

Sparks si solleva in cieli diversi, con tratti malinconici a fare da contorno a un brano che parla di sorrisi e di fuochi.

Si naviga nello spazio con la chitarra acustica grazie alle note di Space Cowboy, in cui l’aspetto western prevale su quello fantascientifico.

Questioni di esplorazione anche sonore all’interno di The Map, che ha fasi aggressive e altre più meditative.

Il lavoro si chiude con Mambo Generation, più acidina che danzereccia. Anzi è proprio una schermaglia elettrica molto intensa e a tratti cruda quella che funziona da congedo.

Album ricco di contenuti e di canzoni buone quello degli Oktopus Provance, che vivono un’avventura in dieci canzoni ricca di sensazioni rock e senza grosse limitazioni sonore.

Genere: rock

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