alberto molonIl cantautore veneto Alberto Molon ha da poco pubblicato il suo terzo album di inediti, intitolato Hanno ragione tutti (qui la recensione).  Il disco è stato prodotto da Martino Cuman (Non voglio che Clara), che ha curato anche gli arrangiamenti, consolidando una collaborazione che prosegue ormai dal 2013, data del suo esordio discografico. Un album cantautorale, quasi pop, con stili e atmosfere diverse tra loro, che hanno come comune denominatore il far parte del quotidiano. Abbiamo rivolto qualche domanda all’autore.

“Hanno ragione tutti” è una tavolozza di colori molto diversi tra loro: alcuni accesi, sgargianti, altri più cupi e malinconici. Sembri a tuo agio in entrambe le situazioni, ma quale delle due senti più vicina alle tue corde?

Devo ammettere che questo contrasto rappresenta bene anche la mia persona fuori dall’ambito musicale. Infatti, ho in me sia la positività e l’allegria, ma anche un forte cinismo, che spesso mi conduce ad analisi cupe e malinconiche. La maggior parte delle volte che provo a scrivere una canzone con la chitarra in mano la cadenza parte lenta e quindi lo spunto è spesso malinconico.

Per cui devo dire che mi sono più congeniali i pezzi dall’animo più scuro. In realtà i brani più gioiosi li scrivo anche per controbilanciare, per rispondere con pennellate di bianco al nero. Ma d’altra parte, penso, che anche nella vita l’allegria, lo scherzo, sono merce rara e vanno apprezzati nei momenti speciali in cui ci sono.

Il processo creativo mi incuriosisce sempre. I tuoi pezzi nascono tutti con la chitarra in mano? Quanto vengono stravolti in corsa?

Ho sempre scritto le mie canzoni accompagnandomi con la chitarra: d’altra parte è lo strumento per cui e grazie al quale mi sono avvicinato alla musica. Anzi, spesso è proprio un giro di accordi o un riff eseguito sulla chitarra che mi dà lo spunto per scrivere una canzone. In quest’ultimo disco, però, mi è capitato anche di partire da un’idea musicale che mi è venuta in mente mentre, che so, ero alla guida della macchina, come per Avrei voluto essere The Edge, il brano che apre il mio nuovo album.

Per quanto rigurada il grado di stravolgimento dei brani nella versione finale su disco rispetto al momento in cui sono stati scritti chitarra e voce, quello dipende molto dal lavoro del produttore e arrangiatore, duplice ruolo che per questo album è stato svolto da Martino Cuman, che in alcuni casi si è limitato a rispettare la mia idea originale, ma in altri ha modificato e aggiunto intere nuove parti musicali. Ovviamente poi tutto è stato deciso concordemente in un dialogo creativo che è stata forse la parte più emozionante nella realizzazione di questo disco.

A proposito del brano che apre il tuo disco: è una sorta di “dichiarazione d’amore” al tuo mito d’infazia, The Edge. Si può dire che il tuo sogno si sia realizzato, visto che la musica è diventata la protagonista della tua vita. Quali altri musicisti ti hanno ispirato?

Il mio sogno non si realizzerà mai abbastanza, per quel che riguarda The Edge, ahah! Solo se usassi sempre, come fa lui, l’effetto delay sulla chitarra in tutti i miei brani potrei forse sentirmi appagato… ma, scherzi a parte, non è certamente l’obiettivo della mia musica limitarsi a rievocare il suo stile o imitare un artista specifico.

Quindi, venendo a chi mi ispira come artista, devo dire che l’elenco sarebbe molto lungo. Sì, certo, gli U2, The Edge, ma anche i Queen, Freddie Mercury, o, che so, la parte folk di Rod Stewart.

Ma ecco che ho citato solo artisti stranieri, e non perché non ci siano artisti (soprattutto anni ’60) italiani che mi hanno ispirato, ma soltanto perché è nella musica straniera che spesso ritrovo stili musicali più variegati… E l’unico comandamento che mi sono autoimposto è quello di essere vario nella mia proposta musicale, di non offrire sempre la stessa canzone.

Una delle tracce, “Il mio vicino di casa”, parla di apparenze. Quanto contano per te? A cosa credi quando ti adegui alla moda e ti metti il profumo?

Come quasi tutti al giorno d’oggi, vivo anche io in un mondo di apparenze… Mi viene in mente che Facebook, la seconda realtà in cui la maggior parte di noi vive, è sostanzialmente il manifesto di tutto questo apparire. I nostri telefoni cellulari hanno portato lo scatto fotografico o la ripresa video a essere lo strumento principale per esprimere se stessi: tutto tramite immagini.

Io personalmente non sono modaiolo in modo eccessivo… ecco, non ho i pantaloni sopra la caviglia, per dire, la loro scomodità per me batte la loro presunta bellezza, eh eh! Comunque ritengo che sia importante, soprattutto per le generazioni più giovani, imparare ad andare più in profondità e, tanto per fare un esempio, leggere le notizie e non condividerle sulla base del titolo, unica parte che è stata effettivamente letta… Ovviamente non è una critica ai più giovani, perché se loro non imparano o non hanno imparato ad andare oltre le apparenze, vuol dire che è mancato chi doveva insegnare, ovvero genitori, insegnanti o significativi modelli di riferimento.

L’ultima canzone si intitola “Non tornerò più”. Parli di ciò da cui vorresti fuggire, ma non ci racconti dove vuoi andare…

 La canzone descrive il ricordo di un momento felice che è passato. L’unico posto o momento in cui si vorrebbe tornare spesso è proprio quello che è già passato. E quindi non ci si può tornare, punto e basta. Si va avanti e questo faccio pure io, guardo il futuro e non so dove mi porterà, ma progetti ne ho sia per quel che riguarda la vita personale che l’aspetto artistico. E poi, come cantava Doris Day, che sarà sarà, non ci è concesso conoscere il futuro…

Chiara Orsetti

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