Quindici anni di musica per immagini, firmata da Alberto N.A. Turra, sono condensati nella nuova uscita Filmworks. In occasione dell’anno in cui due importanti film-documentari, il docu-fiction di Francesco Fei Giovanni Segantini: ritorno alla natura interpretato da Filippo Timi e The Origins Of Music dei messicani Daniel Arvizu e Sam Madrigal, hanno visto la luce, la necessità è sorta e insieme anche il modo.
Nel disco trovano così spazio sedici brani di varia provenienza che l’etichetta torinese Felmay, che con Turra negli ultimi anni ha intessuto una collaborazione importante sui fronti Turbogolfer, Mamud Band e Nippon Eldorado, ha riunito per uno sguardo molto rappresentativo del lavoro che il chitarrista-compositore ha messo al servizio della settima arte.
Alberto Turra traccia per traccia
Si parte aggressivi con Otto Haiku sulla morte (the first), un minuto di chitarra ruggente. Idee del tutto diverse quelle di Seconda lamentazione, che appoggia il discorso sugli archi, in un ambiente che d’improvviso si fa classico e meditativo. La chitarra cerca di scombinare i piani, ma nemmeno più di tanto.
Percorso molto più sofferto ed elaborato quello di Irish Mississippi, flusso di idee molto “suonato” da una chitarra che sembra non voler perdere nemmeno una frazione di battuta. Altro cambio d’orizzonte quello di Cellule, che si lascia guidare totalmente dal pianforte, su un’aria morbida e malinconica.
Voci umane appaiono invece a costellare il passaggio di Darvish, in cui la chitarra si inserisce con gentilezza e armonia. Toni molto più decisi quelli di Trevor, con qualche accenno tex-mex e un andamento fluido in confronto costante con i fiati. Curfew Go Go Go ripresenta il pianoforte, ma in modo nervoso e accelerato, in attesa di qualche epifania improvvisa, che però si apre e si chiude in un attimo. Il brano è sicuramente tra i più tradizionalmente “cinematografici” dell’album.
Dopo il breve intermezzo di Dirottato Variazioni, ecco la cover dello standard Blue Velvet, poco più che accennata. A proposito di cover: che dire del Bolero di Ravel, interpretato con grande agilità. Atmosfere al contrario molto plumbee quelle dell’incombente Sakura, che si sposta su territori sostanzialmente noise, per lasciare spazio a un suggestivo e inquietante recitato in giapponese.
La versione “completa” di Otto Haiku sulla Morte vede protagonista la chitarra in solitario, tra echi e paesaggi assolati. Atmosfere più sognanti quelle di Dustin, che si inoltra in terreni psichedelici ma senza abbandonare la presa sulla terra, anzi allargandosi in orizzontale. Papa Legba is My Sensei esplora terreni incolti, con chitarra e percussioni minimali.
Prima lamentazione si muove in territori oscuri, con un basso continuo a loop e variazioni che possono richiamare artisti ambient (per esempio qualche accenno di Sakamoto). Il finale si diffonde su variazioni jazzistiche della chitarra. Si chiude scalando il Col di Lana, una salita con modi rallentati, con il mood del jazz e i colori scuri del contrabbasso che contrastano con la cristallina rapidità della sei corde.
Le tracce condensate in questo lavoro di Alberto N.A. Turra, benché nate in momenti e per scopi diversi, si accostano lato a lato come un buon puzzle. Il risultato complessivo della selezione offre un quadro variegato e interessante, che non mette in evidenza soltanto l’eccellenza del talento da chitarrista, ma una visione d’insieme sostanziosa e molto ricca.