Alessandro Sipolo @ Diavolo Rosso (Asti): il report
C’è tempo e modo per qualche chiacchiera con Alessandro Sipolo e i suoi musicisti Omar Ghazouli (chitarra) e Dudù Kouate (percussioni) ad Asti, prima che incominci il concerto che il cantautore terrà al Diavolo Rosso.
Due chiacchiere sul vino, sulla cassoeula (che non è proprio di zona, ma comunque è sempre un gran bell’argomento), su qualche avance non graditissima, sui tabù alimentari e sul grunge. E poi si parte a suonare. Gente non ce n’è tanta ed è un peccato, perché siamo di fronte a uno dei cantautori migliori di questa generazione, per qualità delle canzoni, di scrittura, di esecuzione e di ispirazione. Ma, come per il vino, potrebbe essere soltanto questione di tempo.
Come sull’ultimo disco Un altro equilibrio si parte da M’innamora il mondo, che incomincia sommessa e che si trasforma in una sorta di festa lungo il percorso.
E l’innamoramento del mondo prosegue subito con Dong Van, memoria di viaggi orientali narrata con lessico quasi leopardiano. Il brano riguadagna subito un po’ di quiete, arricciata com’è sui mormorii della chitarra elettrica di Omar.
Equilibri, strade bianche e sciamani
Il palco della chiesa sconsacrata, ormai tempio astigiano della musica soprattutto indipendente che durante la stagione ha visto passare alcuni nomi eccellenti, è tripartito con Sipolo al centro e i due musicisti ai lati. C’è uno spirito un po’ busker nel modo in cui il cantautore si occupa di suonare la chitarra acustica ma anche di picchiare la grancassa a pedale.
Al terzo brano inizia a raccontare le sue canzoni e ne annuncia una che parla già di equilibri precari: è Ventotto giorni e quattro ore, su imprese ai limiti dell’umano e forse oltre. Parte con schermaglie di chitarre e così continua, alla ricerca di strade bianche.
Si passa poi, sempre come da ordine di tracklist del disco, alla calviniana Le città invisibili, che però prende spunto da un ricordo reale, di un ragazzo afghano accusato di terrorismo e poi scagionato, che si trovava a sorteggiare con altri disperati il posto migliore, anzi “meno peggiore”, dove passare la notte.
I toni sono quieti e notturni, la voce e la chitarra acustica qui richiedono poche aggiunte ulteriori, ma poi ecco l’assolo di chitarra e il tono sale gradualmente, e così il cantato.
Arriva poi l’ultimo singolo, Lo sciamano bianco, che Sipolo spiega di aver dedicato a un “etnopsicologo” che non c’è più (ci aveva raccontato in questa intervista chi fosse Federico, morto a soli 29 anni). Anche qui la partenza è concentrata sulla voce, che parla di brace, ma il tutto poi si trasforma in una festa africana.
Arriva la citazione per la copertina del terzo e nuovo album, che raffigura il padre di Alessandro impegnato a fare la verticale: Un altro equilibrio, appunto, che racconta di acrobazie ma mantenendo un clima molto tranquillo e intimo.
L’intimità viene spazzata via da La deriva, con il suo bisogno di bestemmie nuove e con la sua aria insieme irosa e leggera. E siccome viaggiare per qualcuno non è una scelta, ecco una memoria del Senegal con storie di giovani africani morti per la libertà europea: arriva Tirailleurs, che ha suoni sorprendenti e quasi celtici.
Eretici di tutto il mondo
Le luci sul palco vengono e vanno per colpa di qualche inconveniente tecnico. ma il livello dell’esibizione rimane sempre alto, senza pause, come in un flusso emozionale continuo.
Tocca a Mostar, che mescola privato e pubblico come spesso nelle canzoni del cantautore bresciano. Si ritorna a livelli alti di intimità e intensità, per un pezzo eseguito soltanto con chitarra e voce.
Esaurita o quasi la scaletta dell’ultimo disco si va a trattare dei “capelli neri e rustici” di Gagio Romanò, e ti rendi conto di come Sipolo abbia la dote, che parli di suoi amici, di renitenti alla leva degli anni ’70, di eretici medievali, di farti sentire tutti vicini, quasi presenti in mezzo alla gente che lo ascolta, bicchiere di rosso in mano. Come se la sua voce forte rendesse tutti presenti e familiari.
E’ così per Denoda, è così per Arnaldo, che riportano alle Eresie del secondo disco. Particolarmente significativo il racconto che introduce l’eretico bresciano: piazza Arnaldo a Brescia, con la statua dell’eretico che però è modellata sul viso di Mazzini, è diventata la piazza più modaiola, con i macchinoni parcheggiati. “Veramente una sfiga dopo una vita dedicata alla rivolta”. La canzone, energica e vitale, parla anche di possibilità di rinascita, ma non necessariamente in senso positivo.
Come si diceva, la tensione non scende mai: i pezzi più intimi raccolgono l’attenzione senza dover urlare, quelli più mossi senza forzare la mano. Si va verso il finale con qualche tinta che vira verso il “latino” e il Sudamerica. O anche il Centro America, per esempio quando si parla di quel tratto “che sta tra Santo Domingo e San Vittore”: ecco la festosa Comunhão Liberação, sempre attuale nonostante i cambiamenti politici.
Il congedo è con Alla sera, un augurio di “sere avvinazzate”, una chiusura molto alcolica e rumoroso, perché l’idea di fondo è: “Fa’ che mi risvegli pronto ad assaltare il cielo”.
Le canzoni di Sipolo sicuramente sono già pronte all’assalto, e così una performance live che merita sicuramente platee più vaste. Vero che questo tipo di cantautorato si presta con fatica a incasellamenti ed etichettature sotto il genere di moda al momento (o in qualsiasi momento). Ma questa dovrebbe essere una virtù, no?
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Testo e foto di Fabio Alcini