Amalfitano, “Il disco di Palermo”: recensione e streaming
Su tutte le piattaforme di streaming e download Il disco di Palermo, il primo album in italiano di Amalfitano (ex Joe Victor). In questa raccolta di canzoni, i testi del cantautore sono sanguigni, cantati a squarciagola, un susseguirsi di immagini e frame che immergono l’ascoltatore dentro la canzone. Elettronica, chitarre, synth e spesso i loro suoni fanno parte della storia che l’autore racconta, ad accompagnare i diversi scenari dello stesso film.
Ho deciso di dare questo titolo all’album perché è stato registrato tutto a Palermo e perché, durante il periodo dei lockdown, mentre era dentro il cassetto e ogni tanto uscivano canzoni del disco sperando che il mondo migliorasse, tra di noi lo chiamavamo così, “il Disco di Palermo”. Mentre pensavo a un titolo il titolo già c’era. Inoltre “Palermo” è stata la prima canzone che ho scritto in italiano. Il disco è stato registrato in varie tranche e, ogni volta che andavamo o venivamo, lo facevamo in nave, di notte, partendo da Napoli, con biglietto ponte, per tutto un anno. Ho anche pensato di chiamare il disco col nome della nave che ci portava in Sicilia!
Amalfitano traccia per traccia
Ci si può incontrare Brunori, Rino Gaetano, forse perfino Alberto Fortis al piano bar di Amalfitano che apre, con un certo grado di surrealtà, l’album. Ti amo piano bar apre un piccolo spaccato ricco di dettagli su una vita un po’ laterale e kitsch.
Eccezioni e sincerità per Maddalena, “una canzone a caso” che è più ballad che rock’n’roll, sempre con ironia e un po’ di amarezza.
Si entra in una discoteca anni ’80 per Ogni mia sbronza, che riscopre il synth pop per riflessioni energiche, con qualche attimo di riflessione incastrato fra una strofa e l’altra.
Ecco poi Amore, un sentimento di cui “forse è più bello non capirci un cazzo”, con una sorta di flusso di coscienza che alterna assunti e contraddizioni sotto un manto di malinconia.
Molto più energica Palermo, che ricorda viaggi e pretende dichiarazioni, fino a una partenza dinamica e molto urlata. Anche se per affrontare qualcosa di ineluttabile: “Le decisioni delle donne sono decisioni per davvero”.
Estate Capodanno inizia che sembra quasi la macarena (su Palermo e non su Roma), ma per fortuna è soltanto uno spunto iniziale che si supera facilmente, procedendo a ondate progressive, urlate e sudate, un po’ incazzate, alla ricerca di “un piccone che ti spacca il cuore”.
E’ ora di rallentare un po’: Parabole si collega con un po’ di tranquillità nostalgica, cercando di costruire metafore, prima che la chitarra elettrica prenda possesso del pezzo.
Ecco che si torna ad armeggiare con i synth e con i battiti profondi, in nome di una memoria d’amore tutto sommato gentile, in Stare lontani e volerti sempre qui. Immaginare viaggi spaziali non aiuta tantissimo nel processo di superare la nostalgia.
Figure storiche si susseguono in Marylin (che si scriverebbe con la “y” al posto della “i” e viceversa, ma ok), ballata un po’ sbronza che ha contenuti sonori quasi folk e gioca di assonanze.
Il disco si chiude con un Venerdì nero, che torna all’elettronica e a una vocalità quasi neutralizzata, per un congedo dall’album new wave e piuttosto spiazzante, soprattutto se comparato all’ondata sanguigna precedente.
Si canta addosso Amalfitano, nel senso che qui e là parla della canzone che sta cantando mentre la sta cantando. Ma diciamo questo soltanto per sottolineare l’assoluta padronanza che dimostra nella scrittura, stratificata e mobile, ironica anche quando si strappa il cuore, capace di tenere presenti i modelli gloriosi ma anche di giocarci un po’, rompendoli e ricomponendoli secondo il proprio gusto. Davvero un disco notevole e capace anche di lasciare un segno.