Andrea Franchi: intervista, recensione e streaming
Andrea Franchi, nato a Urbino, ha scritto canzoni che si ispirano alla musica d’autore e alle sonorità del Mediterraneo. Canta e suona vari strumenti a corda: chitarra, bouzouki, baglamas.
La sua musica è influenzata sia dall’ascolto di cantautori come Fabrizio De André sia dal suo interesse per la musica greca, celtica e mediorientale. Nel suo ultimo disco Il Navigante ha collaborato, tra gli altri, con Francesco Di Cristofaro, importante musicista nel panorama della world music. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
“Il Navigante” rappresenta il tuo esordio. Ci vuoi raccontare come sei arrivato fino all’album?
La metà dei brani sono stati composti negli ultimi due anni e sono quelli che si trovano nella prima parte del disco. Li ho registrati in casa utilizzando una strumentazione essenziale. Gli altri li avevo nel cassetto da un po’, a partire da Cieli lontani che è la prima canzone che ho scritto nella mia vita. Ne deriva che i brani che si trovano all’inizio dell’album risentono maggiormente dei miei interessi musicali attuali.
Ci sono suoni e strumenti tradizionali del Mediterraneo nel disco: da dove nasce la tua passione e il tuo studio di bouzouki, baglamas, bansuri eccetera?
Il bouzouki l’ho scoperto ascoltando Crêuza de mä di Fabrizio De André e me ne sono innamorato subito. In Grecia lo usano spesso con un’accordatura simile a quella della chitarra ma a me piace in accordatura “araba” che è appunto quella utilizzata da Mauro Pagani nel disco di Faber. Il baglamas è uno strumento molto particolare: piccolissimo e con un suono molto “cattivo”. Nasce in Grecia tra fine Ottocento e inizio del Novecento ed è tuttora utilizzato per suonare il rebetiko.
Nel periodo della dittatura un certo tipo di musica era vietato e allora i rebetes lo nascondevano, date le sue piccole dimensioni, dentro il cappotto e così potevano continuare a suonare. Negli ultimi anni mi sono appassionato molto alla musica di Markos Vamvakaris, grande maestro di rebetiko e alla musica dei cretesi Psarantonis e Ross Daly, che a mio avviso sono due dei più importanti musicisti contemporanei a livello mondiale. Il bansuri invece l’ha suonato Francesco Di Cristofaro.
Chi è “Il navigante”?
Il Navigante è una metafora dell’esistenza, quindi il navigante sono io e siamo tutti noi. Si naviga sapendo che si incontreranno periodi di calma di vento e di mare in burrasca. Più si viaggia e più si impara a scrutare il colore del cielo e a cogliere in anticipo i segnali che provengono da onde e vento. Sempre che non si tengano gli occhi chiusi e non ci sia il mare a forza nove. In tal caso ci sarebbe poco da fare per una piccola barca.
Come si è realizzata la collaborazione con Francesco Di Cristofaro?
Francesco Di Cristofaro è uno dei migliori musicisti che abbiamo oggi in Italia. È un polistrumentista eccezionale, suona di tutto e tutto molto bene. Oltre alla tecnica è dotato di una spiccata sensibilità e di una vasta cultura musicale. Lo seguivo da distante attraverso i suoi lavori coi Brigan, La Deriva, E’Zezi ecc. Poi l’ho ascoltato su Radio 3 durante un suo concerto da solista al piano, in diretta. Presentava il suo ultimo album Vardapet Komitas: Piano Works, 1906 – 1911.
Non ci siamo mai incontrati personalmente. Sono riuscito a contattarlo via mail e gli ho proposto di suonare in qualche mio brano. Lui mi ha risposto subito chiedendomi di inviarglieli per un ascolto e dopo due giorni mi ha spedito le sue tracce di bansuri per tre brani L’attesa, Voci dal Mediterraneo, Cieli lontani e di fisarmonica per il brano Il Navigante. Sono rimasto stupefatto. Ha dato un contributo fondamentale ai brani e alle sonorità del disco.
Fai spesso riferimento a Fabrizio De André: tra le sue mille virtù, qual è la caratteristica che ti colpisce di più della musica di Faber? E quali sono gli altri tuoi “maestri”?
Sicuramente la capacità che hanno tutti i grandi: dire quello che pensano evitando i luoghi comuni senza timore di andare controcorrente. De André lo sapeva fare bene: si pensi a quando pubblicò La Buona Novella in pieno Sessantotto e a quando fece uscire Crêuza de mä nonostante l’opinione contraria di tutti gli addetti ai lavori, casa discografica in primis.
Infatti, era impensabile che potesse “funzionare” un disco in lingua genovese. Invece, sappiamo tutti com’è andata. Gli altri “miei maestri” sono tanti, ascolto molta musica di vario genere: nella mia playlist si passa da Psarantonis e Ross Daly a Nick Drake e i Velvet Underground passando per molta musica folk, soprattutto irlandese e anche etnica.
Come nasce “La danza dei dannati”?
La danza dei dannati è un brano molto semplice e diretto che si basa su una ritmica essenziale. Le strofe sono piccoli affreschi del quotidiano nel paesaggio del malaffare. Sappiamo che in certe zone d’Italia il controllo è in mano ai criminali, così come sappiamo che il malaffare ad alti livelli è connesso alla politica e la guida.
Più in basso troviamo invece la gente “meno importante” che “stringe rabbia in mezzo ai denti” e tra loro ci sono anche alcuni che hanno dilapidato la pensione alle macchinette del videopoker dopo anni di lavoro sotto padrone. Perché tutti sono affamati di denaro, il nuovo dio. Quello vero invece, quello con la “D” maiuscola sembra essere assente da tutto questo svolgersi e accavallarsi degli eventi. Ma è un’assenza che inquieta, quasi un richiamo per essere ascoltati.
Quali saranno i tuoi prossimi appuntamenti dal vivo?
A luglio e agosto farò qualche data per concerti in onore di Fabrizio De André. In autunno partiranno invece i live inerenti il nuovo progetto con brani tratti da “Il Navigante”, dalla musica tradizionale e d’autore avente un comune denominatore: il bacino del Mediterraneo.
Andrea Franchi traccia per traccia
Si parte da lontano, con calma e con qualche eco di folk e qualche suono di origine mediterranea, grazie al pezzo di apertura L’attesa. Un che di spiriturale e antico si concretizza nel brano, che cresce con gradualità.
Voci dal Mediterraneo è uno strumentale “di passaggio” ma che sente brezze d’Oriente. Ecco poi la title track Il navigante, d’umore oscuro e propensa a escursioni geografiche e storiche.
Si procede poi con Babilonia, in cui emergono chitarra acustica e voce, prima che i fiati (ancora d’Oriente, ovviamente) ipnotizzino serpenti virtuali.
Archi e sapori antichi anche all’interno della ballata La fortuna, a un tempo morbida e tagliente. Con la seguente La danza dei dannati condivide il sottobosco “à la De André”, influenza dichiarata e molto amata dal cantautore urbinate.
Si rientra in canoni autorali più pop con Un’altra estate, che aggiunge pianoforte e fisarmonica ai profili estivi del brano.
Don Chisciotte torna alla narrativa, sempre muovendosi intorno ai capisaldi del cantautorato. Chiusura estremamente melodica e morbida quella di Cieli lontani, ricca di immagini.
C’è molta personalità nelle canzoni che Andrea Franchi assomma nel proprio album. Una navigazione mediterranea a volte tranquilla a volte agitata dai marosi ma sempre corredata da una notevole conoscenza di tutti gli strumenti che ha caricato a bordo.