Angelo Calculli: la mia vita da manager di Achille Lauro
Inizia tutto con Velvet Goldmine, film del 1998 con Ewan McGregor, Christian Bale e Toni Collette che ritrae un tratto di vita, lasciva e illustre insieme, di David Bowie e dei suoi compagni di strada nel periodo Ziggy Stardust.
Quando Angelo Calculli incontra Achille Lauro, verso la fine degli anni ’10, una delle prime cose che fa è portare questo giovane trapper, ricco soprattutto di creatività e belle speranze, a vedere il film, utilizzandolo come metafora di quella strada che Calculli vorrebbe che Lauro seguisse, uscendo un po’ dalla borgata ed entrando nello stardom, su una via lastricata di successi, paillettes e, perché no, anche denaro.
Achille Lauro è, in quel periodo, l’emergente stella di Pour l’amour, disco che contiene pezzi come Bvlgari, Roba francese e il remix di Thoiry: chi lo conosce ha presenti tutte le potenzialità di un artista che, comunque lo si giudichi, è sicuramente molto diverso dagli altri.
Invece Calculli, che oggi è manager, fra gli altri, di Joe Bastianich per le attività legate alla musica, nonché di Michele Monina, direttore artistico dell’Oversound Music Festival e della rassegna Estati D’Animo di Matera, arriva da mondi molto diversi da quelli della musica, anche se sempre in qualità di manager.
Insieme a Calculli, Lauro incontrerà trasformazioni ed evoluzioni che lo porteranno al mainstream e più volte (troppe volte?) a Sanremo, facendo sbocciare molte delle potenzialità, ma anche molte contraddizioni del rapporto fra i due.
Anche nel migliore dei rapporti a un certo punto le strade si dividono, qualcuno sta male e qualcuno gira pagina. E’ la vita, anche sotto il cielo punteggiato di stelle di una vita da superstar. O del suo manager di successo.
TRAKS ha sempre dedicato grande attenzione ad Achille Lauro, come sa bene chi ci segue assiduamente, anche quando il ragazzo ha fatto il salto verso le luci più brillanti della ribalta e si è trasformato in un personaggio che si può amare od odiare ma che è difficile ignorare.
Tutto questo è successo anche grazie a Calculli, che ha appena pubblicato un libro, Da 100 a 10, in cui racconta la sua vicinanza e poi la separazione da Lauro, senza lesinare dettagli né osservazioni critiche. L’atteggiamento che si percepisce nel libro varia di momento in momento: c’è la partecipazione e la passione, ma c’è anche la delusione, il distacco, la sofferenza. Come nei grandi rapporti che trovano la loro conclusione, appunto.
Nel libro il lato business e il lato umano sono separati nettamente. Nella “scalata” di Achille prevalgono numeri, traguardi, concetti d’impresa e strategie messe in atto. Ma dopo che la separazione, tecnicamente ancora piuttosto fresca, si è consumata, Calculli mette sul piatto soprattutto i sentimenti, le ragioni “umane”, la delusione e perfino il lutto causato da un rapporto che ha portato entrambi gli attori della vicenda al di là di quanto sperato, ma senza raggiungere tutti gli obiettivi che si erano ripromessi.
Tanto che il manager parla di fallimento senza mezzi termini, e lo assume su di sé, lo somatizza, perché a dispetto dell’apparenza pragmatica e “di prodotto”, è evidente che ci ha messo tutto se stesso.
Nell’ultima parte del libro emerge anche un’attenzione al lato artistico e creativo che al principio sembrava un po’ più schiacciata da altre esigenze. Qui Calculli si presenta molto più come mecenate, stornando l’immagine forse più brutale che ci eravamo fatti di lui a inizio libro.
Le ragioni di Calculli
Abbiamo avuto l’opportunità di chiacchierare al telefono con il manager, oggi all’opera con la sua nuova creatura MK3 alla ricerca di nuovi artisti, ma evidentemente ancora molto imbevuto dell’esperienza accanto alla star di Rolls Royce.
Perché questo libro e perché ora?
E’ abbastanza semplice la mia risposta. C’è una doppia ragione: la prima è curativa, nell’ultimo anno di lavoro con Achille Lauro io ho iniziato ad avere alcuni problemi a livello psicologico. Ho subito gli effetti di una depressione endogena in alextimico, che è una forma depressiva molto brutta.
Al netto delle cure mediche farmacologiche ci deve essere una cura affidata a specialisti. Uno di questi, vedendo che non avevo tanta voglia di discutere, non riusciva a tirarmi fuori le parole che facessero emergere le mie problematiche, mi aveva consigliato di scriverle.
E io ho detto: visto che le scrivo a questo punto le racconto, sotto forma di una case history, e approfitto anche dell’opportunità per dare ai giovani una infarinatura generale su come il mondo della gestione manageriale di un artista renda difficoltosi alcuni compiti, specie quando si intersecano i rapporti più di natura personale insieme a quelli professionali.
Ho cercato di fare un mix tra le due cose, infatti il libro non è qualificabile né come una biografia né come narrativa, ma è un misto tra un manuale e una narrazione trattata come una case history.
Nel libro in effetti si percepisce una separazione netta fra un sentimento e un’esposizione fredda, tecnica, distaccata nella prima parte, poi molto più “calda” nella seconda. Achille è nominato pochissimo nella prima parte: una scelta precisa?
Certo, è una scelta precisa perché c’è molto di più una parte tecnica, anche elementi giuridici, come si svolge una negoziazione, cos’è un negoziato, c’è anche una mia personale interpretazione rispetto alla musica trap, la differenza fra la trap americana e la trap italiana. Insomma la prima parte è, credo tu abbia usato un termine molto giusto, più fredda e distaccata, quindi non sentivo nemmeno il bisogno di scrivere il suo nome. Infatti Michele Monina nella prefazione lo dice.
Nel libro spesso si parla di “prodotto”, con riferimento alle canzoni: non è un modo di disumanizzare un artista? Spesso l’artista è paragonato addirittura a un divano da vendere…
Sei forse l’unico che ha fatto questa osservazione e percepito questo mio modo di denominare una canzone come un prodotto. Però ti dico che questa mia modalità è entrata talmente tanto nella mentalità di Achille Lauro che lui stesso qualche giorno fa in un’intervista che puoi vedere su internet, sulla Terrazza Martini, a Wad Caporosso parla delle sue canzoni come “prodotto”.
Questo te lo dico perché non esiste il “manager della musica” o il “manager dell’industria”. Non esiste un albo dei manager, esiste una dote manageriale, un’attitudine ad avere una capacità manageriale, che poi tecnicamente significa saper “maneggiare” delle cose, che non fa distinzione tra quello che tu maneggi.
E questo è proprio quello che io scrivo nella prima parte: se tu hai delle conoscenze giuridiche, tecniche, finanziarie, economiche e hai una capacità di visione nell’ambito del tuo lavoro, puoi gestire le mozzarelle, i divani e le canzoni allo stesso modo. Tutto quello che fai, a livello di strategia è collaborare nella creazione di un prodotto e portarlo sul mercato, sapendo esattamente chi sono le persone a cui si rivolge.
Nel caso della musica gli ascoltatori, ma non gli ascoltatori nel senso generico del termine: gli ascoltatori vanno targettizzati, in considerazione del tipo di musica che fai, dell’età che ha l’artista, del tipo di contenuto che hanno le canzoni e a chi si rivolgono. Non a caso, adesso la tendenza di tutti è dividere le canzoni, e quindi i prodotti, per fasce generazionali: la generazione Z, i millennial, i boomer, come stanno classificando adesso le persone.
Quindi certo: per me è prodotto. Non c’è differenza tra divano e canzone. Così come non c’è differenza tra un panettone Bauli e un divano. Seguono delle logiche di mercato che sono quelle e valgono per tutti i tipi di prodotto.
Sulle prime leggendo il libro questo tipo di atteggiamento può sorprendere e sconcertare un po’. Poi si capisce che non si tratta di un discorso a detrimento dell’arte e della creatività. Ma tornando all’umanità: che cosa le manca di più e di meno del rapporto con Lauro?
Ho cercato di far capire nel libro che ho avuto a che fare con due personalità molto differenti. Uno è Lauro De Marinis, l’altro è Achille Lauro. Che noi vediamo magari rappresentati in un’unica persona, ma nella realtà non è così. Quindi quello che mi manca è Achille Lauro il personaggio, il performer, colui che poi realizzava tutto quello che le visioni ci facevano immaginare.
Certo non mi manca per nulla Lauro De Marinis, non ne sento la mancanza, lo dico con molta sincerità. Mi sono sentito umanamente tradito, ferito, e soprattutto non ho avuto alcun segnale di riconoscenza per tutto quello che credo di aver fatto non nell’arte, ma nella sua stessa vita.
Se tu ascolti un’intervista, delle ultime che lui fece al Sole 24 Ore, a un certo punto lui dice: “Se non ci fosse stato Angelo non avremmo fatto questo percorso”. Però poi continua e dice: “Ci ha messo tanto nella mia arte, nella mia musica ma anche nella mia vita”. Ecco: quella parte lì io non la rimpiango.
Sono contento di quello che ho fatto a livello umano, del sostegno che gli ho dato, proprio come persona, nell’aiuto in alcune questioni personali, famigliari, legali, fiscali, finanziarie. Io ho fatto tantissimo: io non sono stato un manager. Lo sono stato per le questioni che le persone vedevano dall’esterno, ma sono stato anche un consigliere, avvocato, ho fatto per lui l’immobiliarista.
Ho fatto per lui tutto quello che si poteva fare per aiutarlo, oltre che nell’essere artista, anche nell’imparare a gestirsi, ad avere una visione, essendo lui carente di studi, io ho cercato veramente di insegnargli qualcosa che andava molto oltre lo scrivere una canzone, perché non sono in grado di insegnare a un artista come dipingere la sua tela o creare la sua musica.
Sono in grado di dire se quella cosa sul mercato funziona, come va portata sul mercato, e poi sono assolutamente in grado, essendo un uomo di 61 anni, padre di tre figli di cui due coetanei di Lauro De Marinis, sono stato, credo, in grado di aiutarlo nel vivere quotidiano.
Io non ho rimpianti della persona. Zero. Anzi, non mi manca, non ne sento più nemmeno il bisogno. Devo dire che anche l’artista non mi manca, però rimpiango forse di non aver potuto completare un’opera che mi avrebbe reso felice se fossi riuscito a realizzarla.
Per esempio non sono riuscito ad andare negli stadi, non sono riuscito a portarlo in un progetto che vedevo a lui idoneo, ancora più degli stadi, che ritengo quasi un capriccio.
Però quel personaggio lì lo vedevo sicuramente ben collocato all’interno di un musical. Ritengo che ne abbia tutti i requisiti. Perché essendo un performer, essendo un artista che buca lo schermo, questo è innegabile, aveva tutti i mezzi e i requisiti per poter realizzare un Notre Dame de Paris del mondo pop-glam. Per esempio lo sfruttamento dei diritti musical di Velvet Goldmine sarebbe stato per me l’apice della mia soddisfazione personale e professionale
La chiusura del cerchio…
Esattamente così…
Il rimpianto degli stadi
Come detto, per tutto il libro il sogno è quello di portare Lauro a riempire gli stadi. Se dovesse succedere con qualcun altro, quali saranno i tuoi sentimenti in merito? Più rimpianto o più soddisfazione perché senza di lei non ci sarebbe arrivato?
Io gli auguro di fare gli stadi: è un suo sogno, ne parla già con qualche fan, dice che vuole fare lo Stadio Olimpico. Oggi uno stadio è come una laurea: non si nega a nessuno. Lo vediamo no? Blanco è passato dal fare i palazzetti pieni al fare gli stadi non pieni, vuoti… Tutti provano a fare gli stadi.
Chiunque ha una possibilità di fare uno stadio ci prova, è giusto che ci provi anche lui. Da persona di cuore glielo auguro e sarei felicissimo, per niente infastidito dal fatto che lui possa arrivare a fare anche un solo stadio.
Devo dire che attualmente i numeri, che sono molto scesi, il live che è molto sceso, le ultime canzoni, che non traguardano più certificazioni, e la mancanza di un repertorio tale da poter affrontare un percorso per gli stadi mi fa pensare che i presupposti non ci siano. Però poiché conosco anche in parte, e ho imparato anche a conoscere le dinamiche che muovono le agenzie che si occupano di live non mi meraviglierei di vederlo all’interno di uno stadio.
Non so giudicare: io credo che oggi gli artisti che possono permettersi di fare gli stadi sono soltanto quelli che hanno un repertorio vasto, molto consolidato e che hanno un costrutto poggiato su solide fondamenta. E ritengo che gli stadi sono di pochi. Sono di Vasco Rossi, sono di Ultimo, che pur essendo giovane è nato già con questo tipo di percorso.
Sugli altri sì, tutti lo fanno, ne vedo, però oggi anche Ligabue non riempirebbe più uno stadio, non li riempie. E’ un dato oggettivo. Anche la Pausini non riempirebbe uno stadio. E non so: li riempiono i Pinguini Tattici Nucleari, per quanto non si sa, è giusto che sfruttino il loro momento.
Io credo che l’artista cui dev’essere data la possibilità di accedere a uno stadio deve avere un repertorio da stadio, non deve avere pochi pezzi, andare nello stadio, fare uno spettacolo di un’ora, un’ora e mezza.
Io l’altra sera a Bologna per l’ennesima volta come tutti gli anni, sono andato ad assistere allo “spettacolo” di Vasco Rossi, che tale è, ed è uno spettacolo di due ore e mezza, che giustifica la presenza di un artista così importante all’interno di uno stadio.
Un artista che non ha due ore e mezza di spettacolo nelle gambe secondo me, sì lo può fare, ma è più un capriccio. Non porta bene secondo me. Può farlo un anno, due anni, poi che succede? Il nulla.
Lei si è rimesso in gioco gestendo artisti di taglio diverso.
Diciamo che io non sto facendo niente di diverso rispetto a quanto ho fatto con Achille Lauro. Achille Lauro aveva già un nome, prettamente identificato in un’area, che era l’area romana.
Un nome conosciuto nel mondo del rap/trap, ma non era assolutamente un artista mainstream. Possiamo raccontarci quello che vogliamo ma la fan base che ha oggi è nata grazie ad averlo reso pop, nel senso più popolare del termine, attraverso le partecipazioni a Sanremo.
Se non si fosse fatta quella strada probabilmente avrebbe avuto un successo nel mondo trap/rap, sicuramente, ma non maistream con i livelli che ha raggiunto.
Diciamo che se io devo pensare a quel mondo lì, è chiaro che ci sono dei riferimenti molto più forti di Achille Lauro che sono Marracash, Sfera, Gué, anche personaggi meno mainstream come Noyz Narcos sono molto più forti di Achille Lauro in quel mondo lì.
Tant’è che lui ha sempre cercato un “pretesto”, fregiandosi della sperimentazione e della contaminazione proprio perché probabilmente non riusciva a trovare quello spazio di immediato successo che lui invece insegue.
Perché ecco, un difetto della persona, non dell’artista, è la fretta di raggiungere dei traguardi, non artistici nel senso più puro del termine, ma traguardi economici: i soldi sono l’obiettivo di quel tipo di artista, non è l’arte intesa come arte pura.
Per esempio Marracash ci è arrivato a fare soldi, ma ci è arrivato quasi a 40 anni. Prima era un artista che faceva delle cose bellissime, estremamente ricche di arte ma che gli fruttavano pochi danari.
Se penso al percorso che ha fatto Lauro, come dico nel libro è “Da 100 a 10”, che sono i milioni di euro di volume che ha generato e che è un volume economico importante, considerati anche due anni di Covid, che sono stati persi.
L’intervista termina qui, lasciamo Calculli verso le su prossime mete ma è giusto aggiungere ancora qualche piccola chiosa in conclusione. Impressione personale è quella di aver assistito al racconto di un amore tradito, probabilmente quello tra un “padre” e un “figlio”, fatto di delusione e risentimenti dopo tantissimo affetto e speranze.
Questo giustifica, almeno in parte, il carico di freddezza che può emergere dal libro e dalla nostra intervista, evidentemente abbastanza avvelenata in certi dettagli.
Tra l’altro, sempre valutazione personale, il Lauro meno mainstream a me piaceva anche di più, per un carico di originalità e freschezza che, ai primi ascolti, mi aveva decisamente spiazzato, ma che dopo aver capito un minimo del suo mondo, avevo apprezzato. Ecco se questa “decrescita” dei numeri significasse un po’ più Angelo blu e un po’ meno Mille, io non mi strapperei i capelli, diciamocelo.
Ci piacerebbe moltissimo, che ve lo si dice a fare, ospitare una controreplica di Achille Lauro che racconti la propria versione dei fatti. Se ne avrà piacere, lo aspettiamo a braccia aperte. Ma se farà come gli ha insegnato Calculli probabilmente ignorerà la polemica e tirerà dritto, dovunque lo porti la sua strada.
Da 100 a 10. Un viaggio nella Musica in Rolls-Royce
Angelo Calculli, con prefazione di Michele Monina
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