Anna Soares: ho sempre voglia di apprendere e comprendere
E’ uscito per Lost Generation Records Dionysus, il secondo album di Anna Soares. Qui, la cantautrice e producer snocciola un discorso già iniziato lo scorso anno con Sacred Erotic muovendosi in direzioni più spirituali e mature, creando delle preghiere in musica per la sua divinità oscillando tra sensualità e alterazione dei sensi, mostruosità e moniti evolutivi. L’elemento sperimentale, sempre presente nell’elettronica di matrice future garage, va a incontrarsi con un cantautorato che non dimentica di strizzare l’occhio a melodie e vocalità pop. I nove brani di Dionysus vanno quindi a creare un percorso spirituale verso il basso, toccando i luoghi più oscuri dell’esplorazione di sé. Noi abbiamo deciso di incontrarla, per parlare di musica, sesso e futuro.
Quali attività extra musicali fanno parte dell’universo di Anna Soares? E quando il sesso si è unito alla musica?
Moltissime, sono una persona sfaccettata e sempre piena di voglia di apprendere e comprendere. La filosofia, per esempio, ha da sempre fatto parte dei miei studi e della mia vita. Poi lavoro nell’ambito della comunicazione, sia digitale con i social media, che “offline”, creando esperienze umane nel settore dell’accoglienza. Inoltre mi interesso per pura passione personale di spiritualità, fonia, antropologia e di tutto il mondo delle sessualità alternative, che pratico e sulle quali mi confronto con personalità come educatori sessuali, coach, psicosessuologi.
Una certa vibe sessuale è sempre stata uno dei driver fondamentali nel mio approccio musicale, sin da quando cantavo professionalmente come interprete, prima di iniziare a comporre. Ha poi preso uno spazio ancor più grande nel momento in cui ho intrapreso a scrivere, divenendo man mano parte integrante della mia identità artistica.
La BDSM music esisteva già prima di Sacred Erotic oppure è qualcosa di cui possiamo definirti “madre”?
Esistono progetti fuori dall’Italia che hanno fatto musica in parte ispirata all’universo immaginativo ed estetico del BDSM, ma erano singoli brani, o rimandi impliciti: un progetto che fosse fondato nel suo complesso su quell’immaginario e che ci girasse intorno esplicitamente non esisteva prima di Sacred Erotic. Il termine BDSM Music credo proprio di averlo coniato io, e penso sia l’unica maternità della quale mi approprio volentieri.
Che cos’è quella che chiami la “cultura del boudoir”?
Un insieme di caratterizzazioni estetiche, simboliche e archetipiche legate alla camera da letto, alle sue declinazioni e alle sensazioni che porta con sé. Leggendo il marchese De Sade e Pauline Reage mi si è incastonato dentro quel tipo di immaginario che sembra quasi essere sospeso in un’epoca fuori dal tempo, dove l’attenzione ai movimenti, alle piccole cose, alle sfumature e alla pelle prende il sopravvento rispetto alla realtà fuori da quella porta (simbolica).
Qual è la situazione della scena elettronica in Italia? Sei in contatto con qualche artista in particolare? E dove si sviluppa dal vivo la musica elettronica in Italia?
Trovo che la scena elettronica in Italia sia molto fertile e variegata, mi piace moltissimo scoprire artisti nostrani e magari contattarli personalmente per congratularmi. Quel che mi dispiace, invece, è che l’elettronica sia veramente molto di nicchia per quanto riguarda l’audience, sarebbe bello che venisse veicolata di più dai maggiori canali di diffusione affinché ci fosse meno appiattimento di proposte e del gusto generale di chi ascolta. Sono in contatto con vari artisti, tra i miei preferiti cito Kayla Trillgore, Milano 84, NAVA, Kimerica e Dorian Nox.
Ci fai un tour veloce dei tuoi tatuaggi?
Un ankh egizio sulla caviglia, un triskel celtico e un sole a nove punte sanscrito sul piede, una scritta che recita “I chained myself” sulla spalla, una chiave di DO sul collo, un’ancora avvolta da fiori di pesco e nontiscordardimé sulla schiena, una falena spirituale e magica sullo sterno, un sankofa africano e un cerchio zen sul petto.