Freschi di pubblicazione del nuovo lavoro, Tales from the Holographic Seas, gli Arva Vacua sono un trio ravennate che muove i propri passi in campo post rock (e nei campi limitrofi). Abbiamo rivolto loro qualche domanda per conoscerli meglio.
Ci raccontate come avete iniziato a lavorare insieme e come nascono gli Arva Vacua?
FRESCO: Ci conosciamo da tanti anni e, chi con uno, chi con l’altro, abbiamo anche condiviso diverse esperienze musicali. Poi un giorno abbiamo provato a mescolare le carte tra di noi, per vedere che sonorità potessero uscire da un violoncello, delle percussioni etniche e una chitarra con dell’elettronica. Da questo gioco ci siamo dati un metodo compositivo che includa le sensibilità di ciascuno di noi, integrandole in un disegno di insieme. E’ un lavoro di cesello, talvolta anche proprio di mazza e piccone, ma che trovo decisamente stimolante.
Da che tipo di suggestioni nasce il vostro nuovo lavoro?
ANDY: Siamo partiti da un banale “senti ascolta questo, mi dici se ti può piacere?” ad attivare una collaborazione intensa, nella quale ci siamo resi conto che da idea nasceva idea. E’ stato piuttosto evidente che il materiale c’era, abbiamo dovuto imparare a gestire la fase creativa e a renderla fruibile in qualcosa di fruibile da un ascoltatore, e da qui è nata l’alchimia degli Arva Vacua.
EMI: Sì, ci eravamo “annusati” anche in passato tramite varie collaborazioni e in un precedente tentativo di scrivere insieme, poi è arrivato il lockdown e ci ha regalato l’urgenza di eliminare le regole almeno dal pensiero oltre ad una concentrazione quasi innaturale nel poterci ascoltare senza fretta. Un lusso di altri tempi, il rumore di fondo è sparito dentro e fuori per un po’ e nel silenzio è stato più facile riconnettersi alla bellezza.
FRESCO: Cerchiamo di trasporre in musica sensazioni che siano suggerite da impalpabili stati d’animo, eventi reali o visioni cinematografiche. Ci piace pensare di poter offrire una sorta di “colonna sonora” alle emozioni quotidiane.
Avete collaborato con molti nomi importanti della scena musicale italiana: qual è l’esperienza che vi è rimasta maggiormente impressa?
FRESCO: Personalmente ne citerei una che per me è stata molto formativa. Durante le sessioni di registrazione di Hai Paura Del Buio?, forse perché ero giovane e intimorito dalla grandezza dei Jungle Sound Station (lo studio dove si registrava), mi trovai a suonare e risuonare la mia parte badando troppo alla precisione tanto che finì per suonarmi sempre male, scialba. Quindi mi innervosii, iniziai a sbagliare attacchi e a non capire più il senso delle tracce già registrate. Il tecnico, Magister, percepì il mio mood e, con la scusa di venire a sistemare i microfoni, abbandonò la console e venne a guardarmi negli occhi dicendomi tranquillamente “tu vai, ti prendo io”.
Mi visualizzai come un trapezista che sa per certo che alla fine del volteggio troverà due mani ad afferrarlo, rinnovandomi la lezione mai troppo banale che per suonare insieme si deve imparare anche ad avere fiducia nel proprio team.
Per brevità, definiamo “post rock” il vostro genere. Ma se doveste prendervi un paio di righe (o anche tre) per raccontarlo a chi non vi ha ancora ascoltato?
EMI: Quando ti trovi solo in un luogo sconosciuto avvolto nella nebbia i tuoi riferimenti abituali scompaiono e badi all’essenziale, serve ascoltare i rumori più piccoli per orientarsi. Ci puoi immaginare come la colonna sonora di un film malinconico girato tra Vienna nell’800, Manchester degli anni ‘80 e Istanbul tra 100 anni
Che progetti avete per finire questo 2022?
Questo finale di anno lo impiegheremo nella promozione del nostro primo ep, Tales From Holographic Seas, mentre stiamo già definendo quelli che saranno i brani del prossimo disco. Inoltre, come team di Lagnofono Factory, stiamo lavorando su progetti personali e alle uscite di altri artisti.