Avarello, “Ceramiche guida”: recensione e streaming
Ceramiche guida è il nuovo album di Avarello, cantautore giunto alla sua seconda prova discografica. Un lavoro composto da nove brani che rappresentano un proseguimento dell’analisi sociale e introspettiva iniziata nel 2021 con l’esordio Mentre ballo mi annoio, qui affinata partendo dall’assunto metaforico da cui prende il titolo il disco.
Ovvero che gli esseri umani sono artigiani di se stessi, forgiatori di forme fragili come ceramiche che celano un vuoto da riempire inseguendo l’abitudine, le zone di comfort, le guide relazionali e sociali che alla lunga si rivelano limitanti e fonte di frustrazione esistenziale, come recita la title-track: «La commedia dei saluti, del tutto a posto, con permesso, scusi tanto, ho da fare un po’ di cose per raggiungere obiettivi, tanto per sentirmi meglio, ogni azione con pazienza, è evidente ho una mancanza».
Avarello traccia per traccia
Un racconto a carattere urbano ma anche intimo è quello che contraddistingue Acufene, brano soffice che apre il disco con vedute ampie e idee da cantautore, benché il suono sia più “da band”, giusto per fermarsi a cliché facilmente comprensibili.
Discorsi simili quando si iniziano a bere le Camomille, con una linea di basso mobile e riconoscibile e chitarre lontane (quasi shoegaze). I modi sono poi sempre piuttosto tranquilli e avvolgenti.
Si parla di metafore in Liquido, che vuole sincronizzare gli organi nonostante piccoli incidenti con i cani: una ballata “stellata” da piccoli suoni luminosi, per una melodia che sa di romantico, addirittura.
Le insicurezze e le pressioni che mette il cantare sono al centro di Quante volte, che assomiglia a una richiesta di pace molto autobiografica. I pugni stretti e la voglia di bestemmiare ce lo rendono anche più vicino.
Ecco la title track Ceramiche guida, che si costruisce un po’ per volta e che racconta come la paura sia un’abitudine. Qualche sensazione elettrica si mescola con qualche citazione distratta dall’attualità, personale e internazionale.
Più dinamica, come da premesse e titolo, Quattro passi, che aggiunge la tromba e una certa voglia di ballare, senza rinunciare a una certa intimità. Sigarette e la spesa da portare per un IV Novembre che affronta drammi piccoli e grandi, accompagnando tutto con un abbraccio sonoro piuttosto vasto.
Di nuovo le paure, ma anche la musica come via di salvezza, al centro di Piccole crepe, condivisa con un altro animo sensibile come quello di Nostromo, in un brano che parte minimale e acustico e si chiude con gli archi e un’aria da anni ’60.
C’è dell’inquietudine, annidata lì dove uno non sospetterebbe, in una Preghiere che è un po’ più rude del resto del disco, almeno quanto al testo, mentre i suoni accompagnano verso l’uscita dall’album in modo vellutato. “Parlo spesso dei cazzi miei/non per piacere agli altri/ma tenendo tutto dentro/ho causato solo danni“: la psicanalisi e il cantautorato, alla fine, sono due facce della stessa medaglia.
Non si vergogna di cantare in modo intimo Avarello, che parla spesso di organi interni, di cuore ma non solo. Forse a sottolineare la necessità di scrivere e cantare che arriva proprio da un punto fisico molto profondo. Ciò che ne emerge sono canzoni che suonano molto sincere, molto empatiche e ricche di moltissima intensità.