Barberini, “Barberini”: la recensione
Il 30 marzo uscirà l’album d’esordio omonimo (Frivola Records) di Barberini, pseudonimo della cantautrice romana Barbara Bigi. Il disco è stato anticipato dal video Le Cabriolet, con la regia di Fabio Capalbo. Barberini, cantato in italiano, si distingue per il suo dream-pop, lisergico ed evocativo.
Tutte i brani sono di Barberini (ne Le Balene il co-autore è Giuseppe Ammirati), così come tutte le fotografie all’interno del disco. Produzione, arrangiamenti, missaggio e registrazione sono di Filippo Dr. Panìco, che ha suonato i synth, le chitarre elettriche e acustiche (tranne l’acustica in “Le Balene”), il basso in SPKU e le percussioni, e programmato la batteria in SPKU e Chiacchiere da Bar.
Barberini traccia per traccia
Si apre con l’ospite, che in realtà è una presenza fissa per tutto il disco, cioè Filippo Dr. Panico, presente sull’apertura de L’ultima notte, doppia voce a scartamento lento e piuttosto notturno. Si prosegue con una più minimal Le balene, che sfrutta la forza della filastrocca e si immerge in acque sintetiche.
Intro allungata per Le Cabriolet, scelta anche come singolo, che pur avendo un fil rouge fatto di chitarra si rivela piuttosto subacquea. Impressione trasmessa soprattutto dai filtri vocali, che si ripetono anche nella più lenta ma regolare Chiacchiere da bar.
Pianoforte, idee bislacche e critica cinematografica in Le produzioni di Hollywood, costruita sulle metafore. Vorrei invece si inserisce, più o meno, in ambito supereroistico per giocare con minuzie, anche sonore.
Spku decide per vie elettroniche, parlando del resto di mondi social-virtuali, risultando in un pezzo quasi ambient dall’andamento molto particolare. Astronavi invece torna al pianoforte per raccontare storie astronomiche, lente e curiose. Si chiude con un’affollata Titoli di coda.
Con una voce che fa pensare all’easy listening e a decenni lontani, Barberini riesce a far emergere la propria particolarità da canzoni ben scritte e ben rifinite.