Barberini, “Giorni d’oro”: recensione e streaming

Si intitola Giorni d’oro il secondo album di Barbara Bigi, artista romana conosciuta come Barberini, che sembra voler catapultare chi la ascolta in un’altra dimensione. Una voce sussurrata, senza troppi scossoni, ma con molto garbo è l’ingrediente principale di tutte le nove tracce, che in comune hanno anche la forza di raccontare storie per immagini. Malinconiche e divertenti, oniriche e terrene.

Un dreampop fatto quasi totalmente di suoni sintetici e distorti, riverberi e sovrapposizioni, visivamente potenti, a tratti giocose e a tratti intime, che seguono la direzione che l’insieme riesce a evocare.

Da quando le ho scritte, queste canzoni hanno attraversato quattro compleanni, una pandemia, due traslochi, almeno tre idee completamente diverse di arrangiamento, centinaia di dubbi, scrupoli, ripensamenti, e un numero non quantificabile di email scambiate

Tutti le canzoni sono scritte e cantate da Barberini; l’arrangiamento, la produzione e il mix sono di Marco Catani. Mastering a cura di Aemme Recording Studio.

Barberini traccia per traccia

Ho chiamato dei vecchi amici ma erano cambiati / ho cercato dei vecchi sogni ma erano volati

Pirati è la traccia che ha accompagnato l’uscita di Giorni d’oro, un’introduzione che inizia a far comprendere in quale dimensione ci andremo a muovere. Un dreampop sintetico, un pianeta di gommapiuma che racconta la noia, l’inquietudine e la sensazione di essere arrivati a un giro di boa, quello dei 30 anni, che inizia a farci vedere allo specchio distorti e a farci sentire un po’ alla deriva.

Ti sporgi un po’ e resti in bilico col ghiaccio in un bicchiere per curare un altro livido

Si prosegue con Lunapark, a cui partecipa come seconda voce Filippo Dr. Panìco, e insieme raccontano una notte in un parco giochi… che è quello della vita reale distorta. Guerre dentro ai bar, alcoliche e disordinate, sconvolgenti e allucinate, almeno finché le luci al neon non si spengono e si rimane soli a fare i conti con quel che si muove nel petto.

Faremo come la luce che si decompone ma senza morire

Figlia del primo lockdown, Se racconta uno scenario apocalittico, tra uragani, fiamme e fine del mondo annunciata, con la speranza che rimane appesa e che tenta di trovare la strada per ricominciare da capo.

Cerchiamo solo di ammazzare il tempo / e alla fine è sempre lui ad ammazzare noi

Altro brano, altro scenario: percussioni sintetiche e ipnotiche conducono in una città fantasma in riva al mare, dove si incontrano anime perse, creature immaginarie e Grattacieli che crescono sui salici piangenti. Quasi una ninna nanna malinconica e serena allo stesso tempo.

E tra le cose da bere c’è un vecchio sakè, una vecchia bugia e nuvole di drago a incendiare il cielo

Parla d’amore Tempura nostalgia e, per farlo, Barberini sceglie di usare il menù di un ristorante orientale, tra lacrime e tempura, tra progetti giganti e il bisogno di provare a lasciar andare il dispiacere. Anch’essa scelta come singolo, riesce nuovamente a rendere quel retrogusto agrodolce che hanno alcune salse, e alcune relazioni, soprattutto quando arrivano al capolinea.

Crescono le ore poi diventano più piccole / e farà luce presto ma non ora

Si cambia mood in Notti magiche, sembra ancora tutto possibile quando si incontrano gli amici e ci si siede al tavolino di un bar, lasciando che la compagnia prevalga su tutte le sensazioni spiacevoli che ci attraversano.

Se avessi un amico su un altro pianeta potrei parlargli dei mari tropicali

Un dialogo surreale e perfettamente sensato con un amico che abita Su un altro pianeta regala uno dei pezzi più simpatici e riflessivi dell’album: oltre a chiedere informazioni su quel che c’è dall’altra parte, il brano è perfettamente in grado di fare un’analisi di quel che possiamo trovare sulla terra. Sentimenti, problemi, luoghi comuni, incapacità comunicative.

Lascia i tuoi corvi in strada / tieni i tuoi dubbi a bada

Arriva la title track, Giorni d’oro, versione riadattata e riarrangiata di Gold Day di Sparklehorse. Elettronica e sussurrata anch’essa, che ricalca le orme del brano originale ma che in qualche modo diventa qualcosa di completamente diverso.

Un fanale si è spento sulla notte che muore / quasi come a mostrare com’è buio al sole

Insieme a Bonetti arriva l’ultimo pezzo, 06:15, la fotografia di un rientro a casa o dell’inizio di una giornata a seconda dei punti di vista. All’alba per strada si possono incontrare tanti motivi, tanti problemi, tanti ostacoli, tra chi beve l’ultimo bicchiere della sera e chi inizia a prendere il caffè del buongiorno. Bonetti ha scritto la parte finale del pezzo, quella che interpreta.

Barberini conferma la sua abilità di scrittura, senza però regalare troppi scossoni sonori: la sua elettronica riesce a tenere bene le fila, la voce è sempre sussurrata e piacevole, manca forse un po’ di quella spinta che emotivamente potrebbe portare a un livello di emozione superiore. I mondi fantastici e le scene di vita quotidiana riescono a viaggiare accanto senza farsi troppo male, anzi, cullandosi a vicenda e proteggendosi, fino a trovare il loro giusto compromesso.

Genere: dreampop

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