Intervista a Benelli, che in realtà sono due

benelli

del signor Uffa

Sono in due ma di loro bisogna parlare al singolare, tre singoli all’attivo per Manita Dischi, quel cantautorato italiano che adesso si chiama it-pop ma che in realtà, in questo caso, suona davvero come il migliore pop italiano degli anni Settanta. Il loro nuovo singolo s’intitola 25 e parla di quando non hai voglia di far niente, di stampelle, mancanze e piacerà a tutti quelli che ancora rimpiangono gli anni dell’università. Per l’occasione, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Benelli.

Siete sempre piuttosto malinconici anche in estate, lo sembra confermare anche quest’ultimo singolo dal titolo 25. Di cosa parla? Avete mai ascoltato 25 di Adele?

In realtà non ci sentiamo malinconici, ma ogni tanto ce lo dicono. Anzi, anche se l’argomento di un pezzo è triste, cerchiamo sempre di compensare con gli arrangiamenti, una roba tipo “ok questa è andata male, ma reagisci”. 25 parla della paura di crescere e in particolare di un periodo a cavallo tra liceo e università in cui erano successe delle cose un po’ deprimenti (tra cui la gamba rotta). Nonostante tutto c’era spensieratezza in tutto quello che facevamo e da lì il desiderio paradossale di rivivere anche quei brutti momenti.

Adele non è proprio nei nostri ascolti, o meglio, in quel disco ci sono delle ballate allucinanti, ma in effetti non abbiamo mai pensato a un parallelismo e forse non è il caso di farlo.

Vi ritrovate nella definizione “elettroacustici”?

I nostri live acustici sono sempre andati bene, probabilmente perché i pezzi nascono chitarra/piano e voce, quindi poi funzionano anche suonati solo così. D’altra parte, quello che ci piace di più è suonare full band, c’è tutta un’altra energia ed è una cosa su cui puntiamo molto. Poi ci piace la complicità che si crea con gli altri sul palco, la possibilità di riarrangiare le canzoni…sostanzialmente non sappiamo che risposta darvi, perdonateci vi prego.

Raccontateci Firenze a modo vostro, perché avete scelto di dedicare un brano a questa città?

La canzone è ambientata (e anche stata scritta) a Firenze, ma è dedicata a una persona che in quel momento abitava in un’altra città, però diciamo che il contesto ha influito molto.

Quanto è autobiografico il brano?

Molto, ma parla di cose successe tanti anni fa e poi alla stesura hanno partecipato più persone, quindi qualcosa cambia rispetto alla realtà.

E invece che mi dite di Rossa? Ci raccontate anche la storia dietro al video?
Anche Rossa è autobiografica, parla di una ragazza mai conosciuta, per paura o timidezza, che partecipava a una gara di atletica leggera. Perdi l’attimo giusto per conoscerla e poi il giorno dopo la vai a cercarla su Facebook, cerchi di capire da dove viene, cosa fa e ti inventi delle storie su di lei.

Con il video (diretto da Duilio Scalici) volevamo aggiungere un’altra chiave di lettura e quindi ci siamo immaginati questa storia d’amore con un fiore rosso, in più c’è anche il lieto fine (a differenza della vera storia).

Se doveste definire il vostro progetto usando 3 alcolici, quali sarebbero? Perché?

Gin, perché il gin tonic fa tendenza e ci sentiamo supersonic.

Un whisky invecchiato perché suoniamo insieme da una vita.

Un Morellino perché siamo toscani e l’abbiamo bevuto ieri.

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