Alberto Bianco, Bianco per gli splendidi, come lui stesso si presenta, è tornato. Il suo nuovo album, il quarto, si intitola, appunto, Quattro. Dopo aver accompagnato Niccolò Fabi durante il suo ultimo tour, l’artista ha raccolto pensieri ed emozioni in valigia e li ha portati con sé fino a Ortigia, dove, con pazienza e duro lavoro, ha gettato le basi del disco, che, come lui stesso afferma, non è soltanto una tappa del viaggio, ma tutto il Giro d’Italia.
E il giro, si sa, per tutti prevede almeno una tappa a casa, Torino in questo caso, dove Quattro è stato registrato, una sorta di ritorno prima della nuova partenza, quella per il tour, che vedrà il musicista esibirsi sui palchi dei locali di tutta Italia.
Bianco traccia per traccia
Quattro si compone di undici tracce e di mille sfumature, di anni Novanta e di amicizia, che no, non è un numero, ma è sicuramente tra le cose che contano di più. E la prima traccia è proprio numerica, 30 40 50, primo singolo estratto, che elenca delicatamente i mi piace cari all’autore, con la malinconia del tempo passato e la consapevolezza di ciò che è diventato grazie all’esperienza. Una melodia morbida accompagna il testo, un pop lontano dagli esordi per quanto sempre discretamente riconoscibile.
È poi la volta di Felice, più accattivante melodicamente, che sorride alle difficoltà e stringe i denti, con il ritornello che sicuramente rimane più in testa di tutto l’album, di cui è senza dubbio il pezzo più orecchiabile.
In un attimo è un carillon che suona dolcemente fino a trasformarsi in chitarra, un viaggio melodico con il finestrino abbassato che abbraccia il momento di crisi e lo trasforma in pensiero costruttivo, che in un attimo passa, e fa passare.
Fiat parla di ricordi, in un virtuoso utilizzo di strumenti e di effetti per rendere fluido lo scorrere del tempo, in una Pesaro lontana e di una ragazza dai capelli biondi con cui parlare e da cui, dolorosamente, allontanarsi e accettare il cambiamento.
La persona innamorata scorre piacevolmente tra le riflessioni tra parole non dette e di sogni diventati una realtà inaspettata. Il ritmo si fa più incalzante, accompagnato da qualche coro sul finale, per chiudere con solo chitarra e voce con una breve riflessione sulle radici dell’amore.
Il brano successivo è Ultimo chilometro, dedica alle amicizie e alle asperità, chitarra e voce che amplificano un testo tanto semplice quanto realisticamente difficile da accettare.
Cambio di registro per Punk Rock con le ali: un tuffo nel passato, un tentativo di sonorità punk resa pop dalla particolare voce di Bianco, che riesce a rendere confortevole ogni zona in cui decide di sperimentarsi.
Questa traccia segna una sorta di confine tra la prima e la seconda parte dell’album; Tutti gli uomini, il brano seguente, si veste di funk, prendendo le distanze dai brani precedenti e convincendo anche più degli altri per il risultato.
Si arriva così a Padre, un giro di boa nuovamente in direzione pop, con un nuovo ritornello accattivante a testimoniare il passaggio di consegne, inevitabile regalo del tempo che scorre.
Filastrocca sui tetti di Ortigia sa di aria di mare, di chitarra imbracciata e di parole che nascono e scorrono delicate e potenti, tra le similitudini tra la persona e gli elementi, in un’armonia tra elementi e convinzioni. L’album si conclude con i quasi dieci minuti di Organo Amante, dove i pensieri e i ricordi scorrono come in un film dalla colonna sonora che riesce a essere sottofondo incalzante e melodico accompagnamento.
L’intento di Bianco non è certo quello di creare una hit radiofonica, ma di certo accompagnare e accarezzare l’ascoltatore con un lavoro maturo e sentito, che sa di mare e terra, di amicizia e di ricordi, di pensiero e di azione. Un album che sa essere accompagnamento musicale ma che, se ascoltato con attenzione, riesce sa decisamente far emozionare.
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Chiara Orsetti