Bobby Soul & Blind Bonobos @ L’isola ritrovata: il report

Bobby Soul & Blind Bonobos salgono sul palco dell’Isola ritrovata di Alessandria nella serata dell’8 giugno 2018, con una formazione “alternativa” che, insieme a Bobby Soul (voce e percussioni) e Alessio Caorsi (chitarra), vede Lollo Johnson, già Treves Blues Band, all’hammond, nonché il flautista texano Wilie Oteri.

Lo show sarà molto consistente in fatto quantitativo, sfiorando le due ore. La partenza è blues, e il blues sarà comunque quasi sempre la base di partenza di un concerto che pure toccherà corde diverse, espandendosi fino al pop e al rock.

La presenza sul palco dei quattro è potente e coordinata. L’ambiente è ristretto e risonante ma l’impressione è che l’energia distribuita basterebbe anche per ambienti molto più estesi.

La voce è la guida anche se vige una democrazia fatta di equivalenze sonore. Il team suona affiatato benché in parte improvvisato. Bobby Soul si occupa anche di gran parte dei “tricks” percussivi, surrogando di fatto il drumming.

Ben presto emerge l’evidenza che le cover superano e sovrabbondano sul materiale originale: ci si trova di fronte a robuste versioni, come quella di Ain’t no Sunshine, altri classici scorrono con qualche infiocchettatura, soprattutto di tastiere, che non tolgono alla canzone e anzi regala pathos e impatto. Per esempio esce bene (un po’ urlata) anche una Hurt dei Nine Inche Nails, palesemente filtrata dalla versione di Johnny Cash e anche parente di Stairway to Heaven. Spesso non c’è pausa tra un brano e l’altro, così che l’ondata non declini mai di potenza.

Personal Jesus è resa tipo “blues train”, ma con le tastiere stavolta si sconfina quasi in territorio Deep Purple. Poi ci sono anche i Prefab Sprout, Sugar man di Sixto Rodriguez, e qualche caduta: Creep è palesemente superflua e fuori contesto.

Più centrato l’omaggio a Paul Weller (You Do Something To Me), poi si arriva a Paolo Conte (It’s wonderful) resa con qualche pizzico di fantasia. Qui si apre la parte “italiana”, con i pezzi originali del gruppo.

Anche qui la base di costruzione è sempre il blues, spesso urlato e comunque alla ricerca di un impatto emozionale. I testi trattano quasi sempre di relazioni. Si segnalano brani come Vera, che  si distacca dal discorso per un atteggiamento piuttosto aggressivo e quasi vendicativo.

Ma la parte originale è numericamente poco consistente e schiacciata dalle cover: è comprensibile l’esigenza di compiacere il pubblico e di trovare un terreno comune con musicisti con cui si è precedentemente suonato poco o punto. Ma così si finisce per sacrificare un po’ troppo le proprie canzoni, senza contare che una notevole sforbiciata alle cover ne farebbe risaltare di più le differenze fra l’una e l’altra. Dispiace, perché è palese la personalità e la capacità di tenere il palco da parte della band.

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