Sì, il gruppo ha iniziato a operare già dal 2014, e rispetto alla formazione attuale l’unica differenza sta nel cantante, visto che l’attuale ha sostituito il precedente solo a ottobre 2015.
Si può insomma dire che il progetto Bombay è veramente partito solo a fine 2015, e da allora è stata una una vera e propria corsa, senza un attimo di pausa, con la registrazione delle sette canzoni dell’ep Abat-jour, la pubblicazione di due videoclip, e circa una ventina di uscite live tra concerti, rassegne e concorsi.
Forse dovremmo gestire meglio la nostra voglia di fare e di dire, o forse, in fondo, va anche bene così, ci piacciono i ritmi forsennati!
Quali sono le caratteristiche di “Abat-jour” che secondo voi spiccano?
Dal nostro punto di vista, per così dire “interno”, dell’autore dell’opera, Abat-jour rappresenta senza dubbio un ep di transizione, il segno tangibile del passaggio dai Bombay della prima era ai Bombay 2.0. Questo risulta evidente anche solo per via della compresenza, nella tracklist, sia di alcuni brani creati prima dell’arrivo dell’attuale cantante (quali “Track #2” e “Come se”, che abbiamo voluto mantenere proprio per chiarire da dove veniamo) che di brani creati invece successivamente (ossia tutti gli altri, e che presentano una cifra stilistica palesemente diversa e più aggressiva).
Da un punto di vista esterno, invece, l’ep possiede sicuramente dei toni e un’atmosfera dark, oscuri, ma di un’oscurità comunque che crediamo piena di energia e di calore, e non certo invece di malinconia o di resa. L’intenzione è quella di prendere per mano l’ascoltatore alla prima canzone, portarlo con noi nel nostro mondo notturno e passionale, e poi liberarlo solo con la fine dell’ultimo brano.
Come sono andate le lavorazioni del disco? Con quale spirito le avete affrontate?
L’ep è stato registrato in due step, a distanza di alcuni mesi l’uno dall’altro. Questa genesi sicuramente inusuale ci ha permesso di maturare tra le prime e le seconde registrazioni, anche considerando che si tratta della nostra prima opera completa nella nuova formazione, concedendoci così del tempo per capire come renderle più efficaci ed efficienti, e correggere degli errori in corso d’opera.
Dal punto di vista tecnico, abbiamo preferito suonare e registrare i vari strumenti tutti in contemporanea, proprio per sottolineare una caratteristica peculiare della nostra musica, ossia la nostra volontà di farla arrivare all’ascoltatore come un blocco unico, un intreccio irrisolvibile dei vari strumenti, che speriamo si mescolino tra di loro in un corpo sonoro compatto e omogeneo.
In ogni caso l’atmosfera durante le riprese era sicuramente rilassata e positiva, con frequenti visite di amici e colleghi e pause “enogastronomiche” particolarmente impegnative.
Come nasce “Animale”?
“Animale” è una canzone che parla di (ed è dedicata a) tutte quelle persone inquiete, che non si sentono mai arrivate a destinazione, che hanno sempre un fuoco dentro che arde, appunto un animale che le muove e le spinge ad andare sempre oltre, a fare sempre di più e meglio.
L’idea nasce sicuramente dalla canzone “L’animale” di Battiato, ma mentre per Battiato quest’animale interno è visto come una cosa negativa, che non ci consente di elevarci a livelli spirituali più alti, nella nostra canzone è invece piuttosto visto come il motore della vita, l’unica cosa che la rende interessante di esser vissuta.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
In generale noi teniamo molto alla cura e alla qualità del suono, ricercata strumento per strumento, in maniera a volte anche un po’ maniacale, ma che ci vuoi fare, i musicisti si divertono così! In concreto, i chitarristi hanno usato uno un amplificatore Fender Hod Rod con chitarra Gibson Les Paul, e l’altro una testata Orange con cassa 2X12 e chitarra Reverend Manta Ray HB, entrambi ovviamente con relativa pedaliera per gli effetti (che non andiamo a dire in dettaglio altrimenti anche il fan più accanito scapperebbe). Il bassista ha usato una testata TC Electronic con basso Fender Precision (ed anche qui relativa pedaliera), ed il batterista una batteria Pearl con piatti UFIP da 19″, 20″ e 21″.Il tutto è stato registrato al Morphing Studio della Front Of House di Bologna, con Alessandro Biancani a curarci il tutto, dalle riprese al mastering (ed in generale a curarci proprio, non smetteremo mai di ringraziarlo).
Potete descrivere i vostri concerti? Quali saranno le prossime date che vi vedranno coinvolti?
Nei live, il nostro obiettivo è quello di rendere ogni serata unica e diversa dalle altre, trasformandola il più possibile in una festa tra amici. Non condividiamo più di tanto l’idea di un format sempre uguale a se stesso per ogni concerto, ma riteniamo piuttosto che sia necessario adattarsi alle circostanze del caso concreto. Teniamo quindi in considerazione la città in cui suoniamo con le sue caratteristiche, il tipo di ambiente in cui ci troviamo, che pubblico abbiamo davanti, quanto tempo abbiamo a disposizione, chi suona prima e dopo di noi ecc.Vogliamo insomma che il pubblico, tornando a casa a fine concerto, possa dire di aver assistito ad un’esibizione irripetibile, ma non nel senso che noi siamo fantastici ed inimitabili, bensì nel senso che non si ripeterà più perché collegata a quel momento specifico (a fine serata, per l’ultima canzone, cerchiamo ad esempio di far salire più gente possibile sul palco, e quindi magari qualche service ci odierà anche per questo).
Abbiamo una data il 29 marzo all’Arteria di Bologna, una il 7 maggio a Medicina, una il 13 maggio in apertura ai Plan de Fuga a Castel Maggiore, e stiamo poi preparando un mega evento per il 25 aprile in centro a Bologna con tante altre band!
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?Volendo rimanere solo a quelli italiani, e limitando ulteriormente a quelli vicini al nostro genere, sicuramente dobbiamo menzionare i Verdena, i Marlene Kuntz, i Ministri, gli Afterhours e il Teatro degli Orrori
Non disdegniamo affatto, tuttavia, anche ascolti in mondi che parrebbero lontano da noi, come ad esempio il rap (in primis Salmo e Miss Keta), la musica elettronica (come Skism o, in Italia, Bloody Beetroots), o perché no, anche il jazz (come gli Snarky Puppy), convinti che dalla contaminazione e dall’incontro di mondi diversi possa solo emergere del buono.
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Certo, è dura scegliere, ma ci vengono in mente “Guns of Brixton” dei Clash, “Cadillac ranch” di Bruce Springsteen, e “Valium Tavor Serenase” dei CCCP (visto che siamo personcine tranquille e a modo).
Ovviamente queste canzoni non rispecchiamo la musica che suoniamo noi, ma sono proprio la dimostrazione del fatto che per noi la musica (o forse dovremmo dire l’arte in generale) non ha e non deve avere confini rigidi e preconcetti. Secondo noi non ci sono generi belli generi brutti, ma solo canzoni belle e brutte.
Bombay traccia per traccia
La prima traccia del disco è Pessimi eroi, un percorso elettrico molto aggressivo che si diffonde sugli oltre sei minuti di un pezzo che gioca con i chiariscuri ma si permette pochi cali di tensione. Approccio leggermente più meditato quello di Sospesi, che sarà il secondo singolo estratto dal disco, ma conferma per le influenze del songwriting alternative internazionale.
I riverberi di Animale rivelano una seconda parte più moderata e confinante con qualche traccia psych, salvo poi chiudere picchiando forte una volta di più. Johnny decide per un approccio molto diretto, con linee precise di drumming e chitarra.
Anche Noi si dipana su binari elettrici e potenti, ma l’atteggiamento del testo è più introspettivo che narrativo, con evidenti influssi post grunge. Tendenze psichedeliche e derive post rock caratterizzano TRACK#2, prima che il disco chiuda con la lunga Come se, che aderisce a un profilo più intimo e drammatico.
Una carica molto potente, quella dei Bombay: il disco concentra una potenza notevole e qualche ambizione nei testi, per lo più bene amalgamate e con buoni risultati.