Altre cinque recensioni in breve oggi su TRAKS: ep e dischi usciti da qualche tempo che non dovresti trascurare.
Angela Kinczly, “Tense Disorder ep”
Dopo un periodo di silenzio di circa tre anni torna sulle scene l’artista italo-ungherese Angela Kinczly. Il nuovo ep, Tense Disorder (Neurosen/SRI Prod’s, 2016) abbandona la lingua italiana e l’approccio pop-cantautorale, per immergersi in atmosfere elettroniche di stampo mitteleuropeo. Francesco D’Abbraccio degli Aucan, ha curato la produzione artistica dei primi tre brani di Tense Disorder, una sorta di tutto unico concettuale su nevrosi, paranoia e stalking, con ritmi diversi e con influnze del tutto contemporanee ma anche dai retrogusti antichi, come dimostra per esempio la melodica e corale Spies. La quarta traccia, A Notion, è stata invece prodotta invece da la Tarma, e risolve i conflitti con una sorta di guarigione finale. Breve ma molto ben costruito.
Be Where, “Iota”
Si chiama Iota il nuovo lavoro dei Be Where, un ep da cinque canzoni contrassegnato da forti tendenze elettroniche, soprattutto in direzione pop. Il quartetto pugliese torna, a distanza di due anni dall’esordio, per proporre atmosfere morbide e intense come quelle di Steady, oppure ritmate e determinate come in Morning Daydream. Anche Stronger, il singolo, mixa sensazioni campionate con un retrogusto pop che però incontra ritmi più decisi nel finale. Su tutti i brani aleggiano le influenze del rock electro inglese a partire dagli anni Novanta fino agli esiti più recenti. I Be Where sono comunque abbastanza agili da personalizzare le influenze facendo emergere i propri istinti.
Zeit, “Monument”
E facciamole sanguinare, ‘ste orecchie: tornano gli Zeit, band veneziana di cui avevamo parlato circa un anno fa per il loro The World is Nothing. Oggi si ripropongono con Monument, scatenato ep da quattro tracce che propone una versione particolarmente furente di hardcore. Si parte con Staring, da subito poco incline ai compromessi. Leggermente più ragionata They Run in Circles, comunque con drumming molto rumoroso e una chitarra piuttosto sofferente. Urla feroci aprono la title track, Monument, con un twist end che cambia ritmo. Il lavoro si chiude con The Swarm, cover degli At The Gates, con la partecipazione di Nicola Manzan. Ep adatto a cuori forti, conferma le qualità d’assalto della band, aggiungendo ancora qualcosa in termini di impatto complessivo.
[bandcamp width=800 height=100 album=4193654600 size=small bgcol=ffffff linkcol=0687f5]Emanuele De Raymondi, “Exul”
Il compositore romano Emanuele De Raymondi pubblica Exul, un ep da tre brani per la ZeroKilled Music che concentra il lavoro degli ultimi tempi in soundscape spesso visionari. Nella sua carriera De Raymondi ha firmato diverse colonne sonore per film come Saro (Torino Film Festival 2016), Arianna (Festival Internazionale del Cinema di Venezia e BAFTA nel 2015), Waves (Roma Film Festival 2013). Questo tipo di esperienza si avverte nei tre brani dell’ep, che richiamano alla mente spesso panorami fantascientifici e riferimenti all’elettronica dei decenni scorsi, ma con un lavorìo di fondo molto adatto al presente. Si parte da Deepest Blue, icastica e minimale prima di accendere un motore elettronico molto più evidente. Si passa poi a Wastelands, costruita a salire e con vaghe reminiscenze sinfoniche, per chiudere con i panorami vasti di Solace. Un episodio significativo e ben congegnato.
[soundcloud url=”https://api.soundcloud.com/playlists/272088195″ params=”color=ff5500&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false” width=”100%” height=”450″ iframe=”true” /]Maybe Happy, “Out of Four”
I Maybe Happy arrivano da Finale Emilia, hanno un’estrazione punk convertita però in elettronica. Dopo il primo disco “Until 7:00” (Upupa/Fooltribe 2010), nella prima metà del 2012 la band si allarga fino a raggiungere una formazione a quattro. Arriva così Out Of Four, morbido ep registrato e prodotto da Stefano Bortoli alla Falegnameria Recording Studio. Il nuovo lavoro si apre con le volute ampie di Grey S Not a Colour, che più che dal punk sembra influenzata dal folk cantautorale che domina l’indie odierno. Ritmi più alti per Ice, punteggiata da un drumming analogico e vibrante, anche se presto si rallenta. Con Straight too far si viaggia per linee più dirette, anche se le atmosfere sono ancora piuttosto soffuse. Dopo molte morbidezze, un po’ di acido arriva con Ten Times Story, che chiude il lavoro. La band è cresciuta un pezzo per volta e ora sembra pronta per salti più consistenti.