Prima ancora di essere un musicista, Brian Burgan è un esperto sound designer. Nel corso dei suoi studi ha avuto modo di collaborare con artisti di fama internazionale, infatti ha lavorato alla regia audio di artisti jazz come Joe Fonda, David Liebman, Franco Cerri, Paolo Angeli e Michele Marelli.

L’esperienza non gli manca di certo. Sa quello che fa e non ha paura di sperimentare. Voci, soundscapes, sintetizzatori, suoni foley… potenzialmente, nelle sue mani, tutto può diventare musica.

Dopo una lunga attesa e una lunga ricerca, Brian Burgan regala Obey to Black, un lp che trascina in un flusso di musica elettronica con influenze ambient, dubstep e altre tipiche della techno berlinese, nato più di otto anni fa ma che ancora oggi suona attuale come se fosse stato prodotto appena ieri.

È stato definito come un disco “introverso” e la definizione è perfettamente azzeccata. Ascoltare questo disco vuol dire accettare la sfida di addentrarsi all’interno di se stessi per andare alla ricerca di una storia che nessuno ha mai ascoltato.

Brian Burgan traccia per traccia

La raccolta di apre con Ashes, un pezzo in cui i cui suoni ci arrivano addosso gradualmente ma inesorabilmente, come se osservassimo la Terra da un piccolo satellite artificiale e poi la gravità ci facesse improvvisamente schiantare contro di lei, mostrandoci nel tempo di un minuto le ceneri di un mondo distrutto, prima nella più alta atmosfera, poi nelle gallerie di una città abbandonata, per poi farci fuggire nelle profondità degli abissi.

Ed è proprio in quegli abissi che tutto è ancora più nero e misterioso. In Obey to Black troviamo le rovine di una grande metropoli sommersa. Attraverso le voci di Giorgia D’Eraclea (Giorgieness) e Giuliana Fioretti (G. Punto) leggiamo la storia di una città che non dormiva mai, una città dalle mille luci, dove la notte non era mai scura e si restava svegli a ballare fino al mattino. Poi un giorno tutto è cambiato.

Non sappiamo cosa sia successo a quella città, ma adesso non importa, perché nelle tracce immediatamente successive ci rendiamo subito conto che in questo universo così vasto non siamo altro che polvere. Are the Stars Dying? grida una voce nell’omonima traccia, come terrorizzata dall’imminente fine del mondo. Not Yet ci risponde la traccia successiva. Una serie di suoni lunghi e profondi fanno da sottofondo ad altri più acuti e distribuiti come una pioggia di brillanti. Poco importa se quaggiù il mondo è finito, lassù nuove stelle continuano a nascere.

In Never Ending Spell ci ricordiamo però che quel mondo era anche il nostro. È come se ci svegliassimo da un incantesimo e realizzassimo che poco importa da quanto tempo non tornavamo a casa: era la nostra casa. Ci immergiamo allora in un’elettronica più cupa e malinconica, e in quelle voci trascinate, quasi sofferte, non possiamo fare altro che rivedere noi stessi. Empatizziamo con quei problemi che una volta ci apparivano giganteschi e ora sono insignificanti, ma che comunque facevano parte della nostra quotidianità.

Allora cominciamo un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca di ricordi sepolti. In Wreck rivediamo le estati adolescenziali in cui si alternavano momenti di magia e spensieratezza ed altri di ribellione e trasgressione. In Box of Memories rivediamo un’infanzia più remota delle stelle, riviviamo gli ultimi giorni trascorsi accanto ad un familiare che non c’è più, rivediamo i primi scontri con una realtà che faticavamo a capire ma che ora ha più senso. Con Esbat riviviamo il momento in cui abbiamo lasciato la Terra. Non sappiamo neanche più perché l’abbiamo fatto, ma sicuramente pensavamo che al nostro ritorno avremmo trovato qualcosa di diverso. Non importa. Non più.

Riprendo alcuni dei suoni che avevamo già sentito nella traccia iniziale, la raccolta di chiude con Røkkr. È il momento di partire di nuovo. La visita è terminata. Diciamo addio a tutto ciò che è stato, diciamo addio ad ogni ricordo, diciamo addio perfino a noi stessi, e ci gettiamo ancora una volta nell’ignoto, sapendo che questa volta sarà per sempre.

Ci troviamo di fronte ad un disco impegnativo, il genere di disco che va assaporato secondo per secondo. Ascoltarlo vuol dire accettare la sfida di un salto nel vuoto, ma possiamo assicurarvi che è un’esperienza che vale la pena compiere.

Genere: elettronica, ambient, dubstep

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