Proveniente dalla scena rock underground di Roma, Andrea è stato fortemente ispirato nella composizione e nella scrittura da band rock progressive degli anni ’70/’80. Rebis è diviso in tre atti, nel quale i brani confluiscono l’uno nell’altro e attraverso i dialoghi tra i tre personaggi (curati dallo scrittore Lorenzo Polonio) viene raccontato il viaggio di un uomo, Rajas, verso l’isola di Rebis.
Bridgend traccia per traccia
Il disco si apre con Path to Ys, recitato introduttivo piuttosto morbido, seguito da una più ritmata The Sunken Cathedral, che mette in rilievo la linea del basso, prima che emerga la chitarra. Altro recitato, con dialogo, per Ys, prima che un medio rock con tastiere si prenda la scena. Rendezvous prosegue il dialogo, prima che Rebis, la title track porti avanti il percorso onirico con un discorso orchestrale a vedute ampie.
Threshold si immerge in altre traiettorie fluide ma più vicine al rock. Tetracedon Planus Vacuus insiste sulle linee della memoria, mentre Binah abbassa i toni e si immerge in oscurità liquide. Return to Ys torna a proporre sonorità più altisonanti, con il basso che si incarica di nuovo di fare da guida. Zain inizia a proporre soluzioni di uscita, ancora in tema di rock. Istinti floydiani emergono in parte in Black Sun, prima che Arché chiuda la porta del disco con una certa dose di energia.
Il disco dei Bridgend può sembrare un po’ fuori tempo, immerso in nebbie progressive ormai dissipate da decenni. Ma è sincero e ben eseguito, nonché piuttosto ricco di passione, il che non guasta.