Brunori Sas, “A casa tutto bene”: recensione e streaming
Il primo ascolto di un disco è fondamentale. Alcuni ti rapiscono subito, ti portano lontano, in un viaggio verso dimensioni a cui probabilmente non avevi neanche mai pensato. Non è il caso dell’ultimo lavoro di Dario Brunori, in arte Brunori Sas, intitolato A casa tutto bene.
Perché questo è un disco che ti vuole cogliere in flagrante, esattamente dove ti trovi, seduto al tavolino di un bar sui Navigli, sdraiato sul tuo divano davanti al televisore, mentre voli sull’aereo che ti riporta a casa e applaudi al pilota dopo l’atterraggio.
Vuole insinuarsi negli spazi vuoti della quotidianità, della monotonia, della passiva rassegnazione al mediocre, e si prende la briga di domandarti quello che nel titolo non ha il punto interrogativo: a casa tutto bene? Semplice, diretto, spiazzante.
E se Brunori, nei precedenti album, aveva imboccato la scalata verso il nuovo cantautorato passando per il versante dell’ironia, in questo lavoro ha scelto la strada più ripida: quella della realtà, raccontata senza mezzi termini. Accompagnata da arrangiamenti precisi, puliti, senza colpi di testa. La produzione, affidata al giapponese Taketo Gohara, risente dell’influenza delle due dimensioni che hanno visto nascere i brani che compongono il disco, la metropoli milanese e la Calabria.
Brunori traccia per traccia
Il compito di aprire il disco è affidato a La verità, scelto anche come primo singolo. La verità è che se continui a fare le stesse cose, continuerai a ottenere sempre gli stessi risultati. È questo che vuoi? Il brano inizia quasi sottovoce, sembra quasi per raccogliere forza e fiato e buttare tutto fuori nel ritornello, dove la voce di Brunori viene fuori piena e potente, come in nessun altro pezzo dell’album, mentre prova a farti risvegliare dal torpore.
La minaccia de L’uomo nero risuona ancora nelle orecchie dei bambini disobbedienti di ieri. La presa di coscienza di essere noi stessi l’uomo nero, nel momento in cui piuttosto che aprire la porta la chiudiamo a chiave col chiavistello non ha lo stesso suono morbido della melodia che la accompagna, con cori e voci femminili che si mescolano a quella del protagonista; le metafore forti e le note appena accennate di pianoforte contribuiscono a renderlo uno dei brani visivamente più potenti dell’album.
Canzone contro la paura apre la finestra, cambia l’aria, ti dà un attimo di tregua. Un inno alla potenza della musica come ancora di salvezza, sia per chi la ascolta, sia per chi la fa. Anche se non c’è sempre una motivazione forte dietro. Anche se poi si finisce a mettere il tututururu nel ritornello. Lamezia – Milano racchiude le due anime di Brunori, un lupo della Sila tra i piccioni del Duomo.
I suoni freddi della città che si mescolano ai ritmi più carnali del Sud in un viaggio, non solo figurato, lungo un’Italia che sventola bandiera bianca. Per capire che Colpo di pistola fosse la confessione di un uomo dell’omicidio della propria compagna e del conseguente suicidio in carcere ci ho messo un paio di ascolti. Pensavo fosse la solita canzone d’amore. Perché le chitarre accarezzano il testo, non lo appesantiscono. Perché l’apparenza inganna, nella musica come nell’amore.
Battiti di mani e corde pizzicate introducono La vita liquida, in cui una lirica intelligente spezza la tensione creata dal brano precedente. Uno dei ritmi più coinvolgenti dell’album. Diego e io è la traccia spartitraffico di questo lavoro: l’unica che sembra non avere un senso nell’ordine ragionato della scaletta, l’unica che racconta una storia d’amore, l’unica con pianoforte e archi malinconici e toccanti. Uno spartitraffico dove il rosso del sangue e dell’amore si mescola al colore delle tele dei protagonisti di questo viaggio messicano di quattro minuti, Frida Kahlo e Diego Rivera.
Sabato bestiale riprende il discorso dove era stato interrotto. Al bieco soddisfacimento dei bisogni materiali dell’uomo medio, che si riconosce come tale senza vergogna alcuna. Sonorità vagamente latineggianti, ritmo più sostenuto della media. Uno degli arrangiamenti meglio riusciti è quello di Don Abbondio; il brano potrebbe sembrare un richiamo evolutivo al precedente L’uomo nero; il racconto delle brutture commesse nel nostro tempo sotto gli occhi ormai abituati di chi, come tutti, cerca di andare avanti, raccontandosi che in fondo va bene così. O forse no?
“Non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di così” è il fulcro de Il costume da torero, una sorta di supereroe che salva il mondo a colpi di poesia; il coro che accompagna Brunori da metà canzone in poi è composto anche da voci di bambini, contribuendo a creare la sensazione che il cambiamento possa essere concretamente possibile, se parte da noi stessi, e da ciò che possiamo insegnare alle nuove generazioni.
Secondo me è la costruzione di un punto di vista in prima persona, e la conseguente distruzione che deriva dall’aprire il proprio orizzonte alla possibilità del diverso. Si smontano i meccanismi di difesa, si aprono le melodie, a più ampio respiro fin dalle prime note. L’album si chiude in acustico, con La vita pensata. Il bilancio delle tracce precedenti, la chiusura del cerchio, il momento di riflessione che ha maturato il desiderio di agire.
Le dodici tracce scelte per questo disco non lasciano nulla al caso, ma compongono una scaletta ragionata e intelligente; che colpisce allo stomaco, lascia il tempo di rifiatare, per poi colpire di nuovo. Gli arrangiamenti, confezionati su misura per ogni brano, senza esercizi di stile o prove di grandezza, spesso introdotti per supplire la mancanza di contenuti, valorizzano l’obiettivo di Brunori Sas: quello di darti una scossa. Siamo davvero così sicuri che a casa vada tutto bene?
Chiara Orsetti