Il mondo si divide tra chi ama Brunori e chi ancora non lo conosce. Lo sa bene un’Arena del Mare genovese che torna ad ascoltare musica live in questo finale di stagione estiva che ha ancora tanto da dare: è infatti il primo appuntamento del Goa-Boa Festival, quello che vede protagonista la Brunori SAS e Luca Bais, che hanno il compito di far uscire dal cervello le hit estive e portare un po’ di quel cantautorato 2.0 che sarà anche fuori moda, ma che in realtà non stanca mai.

Luca Bais è una vecchia conoscenza: già lo scorso anno si aggirava per il Porto Antico di Genova con la sua chitarra e l’espressione tra lo scazzo e la timidezza, tirando poi fuori una grinta niente male e un sound tutto da scoprire. I brani presentati sono eseguiti in versione acustica, e riescono a insinuarsi profondamente negli ascoltatori che, all’inizio distratti, si sono poi fatti catturare dalla malinconia internazionale dell’artista milanese.

Di tutt’altro respiro il repertorio brunoriano: nel corso della sua onorata carriera, Dario è riuscito a mettere armonicamente d’accordo tutte le sue anime, italiane e bohémienne, impegnate e introspettive, irriverenti e semplici allo stesso tempo, di quella semplicità che hanno le cose dopo che una luce le illumina per la prima volta.

In questo tour, spesso e volentieri sold out, la voglia di stare con il pubblico di Brunori si percepisce più viva e forte che mai: look da rockstar, ma sempre con un certo stile hipster, sguardo dritto e aperto davanti a sé e tanta voglia di scherzare insieme: sui bambini, che dice di mal sopportare ma che poi in realtà la sua piccola Fiammetta arriva immancabile nei ringraziamenti finali, insieme alla sua mamma a cui rivolge “un’insopportabile dedica alla monogamia”, Per due che come noi, che è anche una delle canzoni sull’amore “adulto” più vere e oneste di sempre; su se stesso “ho anche twerkato, sono l’Elettra Lamborghini del cantautorato” e “grazie soprattutto alla mia mamma che mi ha partorito” per gonfiare un ego che è gonfio solo negli occhi di chi vuol vederci il male.

Scherza poi su Genova e la sua tradizione musicale: “Sono venuto dalla Calabria a portare il cantautorato, una new wave per la città, qui non sapete cosa sia” è una delle tante affermazioni che fanno sorridere tra un pezzo e l’altro, tra una presa di fiato e l’altra. La scaletta vede alternarsi brani della prima ora e ultimi successi: si parte con Al di là dell’amore, Benedetto sei tu e Lamezia Milano sparate a raffica, per poi continuare a passeggiare sulle rive del pensiero che Darione riesce sempre ad accendere: Mio fratello Alessandro, Capita così, Il mondo si divide, Sabato bestiale conducono fino a metà concerto, quello in cui ci si riposa un secondo a decantare le emozioni e si può poi proseguire ancora e ancora.

E per riuscire a sopravvivere a Come stai, Kurt Cobain, Guardia ’82 e Canzone contro la paura senza invocare uno psicologo o un prete a cui confessare le proprie colpe dal 1990 a oggi, una pausa sembra essere necessaria. Necessaria come il finale, in cui ancora una volta ci viene sbattuta in faccia La verità e fa sempre un sacco male, proprio come la prima volta. Il congedo, inaspettato, non è sulle note di Arrivederci tristezza ma su quelle di Secondo me. E in fondo non sembra poi così assurdo voler salutare il pubblico cercando di aprire un po’ gli occhi, e il cuore, a quel che non accettiamo solo perché non ci appartiene, soprattutto in un momento storico come questo.

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