Casta: è tutto molto spontaneo

Noise in the Hood è il primo album ufficiale di Casta, progetto musicale di Alessandro Castagnoli (voce chitarra e synth), affiancato da Giorgio Caiazzo (batteria e pad). Abbiamo rivolto qualche domanda ad Alessandro per approfondire le idee musicali del duo.

Ciao, ci racconti il progetto?

Il progetto nasce da un idea mia e di Giorgio Caiazzo nel a fine 2020. Collaboriamo assieme da anni e dopo la chiusura del progetto `Two Hicks One Cityman avevamo ancora voglia di immergerci in una nuova avventura. I punti cardine del progetto sin dall’inizio sono stati quelli di provare a sperimentare qualcosa di nuovo, allargare gli orizzonti e uscire dai nostri generi di partenza e quindi tutto il rock e affini.

Che tipo di album è “Noise in the Hood”? Fotografia del momento o collezione di canzoni raccolte nel tempo?

Noise in the hood è in realtà un concept unico, idealmente partorito in un unico momento. Tutto il processo però in qualche modo si interruppe con le restrizioni del Covid che ci hanno portato a lavorare in un modo inedito. Abbiamo lavorato praticamente ognuno a casa propria per molta parte del processo creativo del disco e questo crediamo sia anche la sua caratteristica. Abbiamo cosi abbandonato quel metodo di jam session che invece ci è stato utile sul finale prima delle registrazioni

Che tipo di processo compositivo affronti quando scrivi?

Dipende molto dalle canzoni, generalmente è tutto molto spontaneo. Gran parte dei pezzi nasce in sala prova, i punti di partenza possono essere relativi all’acquisto di uno strumento nuovo, oppure un pattern di batteria di Giorgio, o anche un’ispirazione comune di qualche artista che al momento entrambi condividiamo.

A volte succede anche di rimanere completamente sorpresi mentre improvvisiamo in sala prove, creando cosi dei temini, dei brevi ritornelli, che una volta arrivato a casa diventano dei pezzi veri e propri. Ne abbiamo a decine di piccole registrazioni del genere, ad avere più tempo Noise in the hood sarebbe potuto essere un disco doppio.

Qual è stata la canzone che hai completato con maggior difficoltà e perché?

All I got probabilmente. Fa parte di un filone abbastanza recente e la difficoltà è rendere coerenti un pezzo con l’altro all’interno del concept. La tentazione di accantonarla c’è stata ma poi con un po’ di prove abbiamo trovate i giusti compromessi. Il lavoro quindi si è concentrato sul mantenere il sound degli altri pezzi ma esprimerlo in una vena un po più chill, un po più musica da ascensore. Il risultato ci è piaciuto molto e alla fine penso sia uno dei pezzi più raffinati del disco.

Quattro canzoni senza le quali non saresti qui ora a fare il musicista

Little wing di Hendrix. Se mi sono appassionata alla chitarra da bambino è anche per questo.

Take five di The Dave Brubeck Quartet, che mi ha aperto la strada agli studi jazz che ho conseguito al Conservatorio.

Minor Swing di Django Reinhardt, altro brano importantissimo nella mia cultura musicale.

Underwater di Porches perché è stato un pezzo e un disco rivelazione che ha aperto la pista a tante sfumature synth che ho intrapreso negli ultimi anni.

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