C+C=Maxigross: “Sale”, la recensione e una scelta alternativa #sottotraccia
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“Persi nella notte mentre fuori arriva sera/siamo solo storie siamo al punto di partenza”

“Tarantola”, c+c=maxigross

Niente, è toccato di comprarlo. Si sta parlando qui di Sale, il nuovo disco dei C+C=Maxigross, band veronese la cui storia spicca nell’alternative italiano per originalità, per talento e per scelte. E a proposito di queste, la band ha deciso di far uscire Sale non come fanno tutti, cioè campagna promozionale, ufficio stampa che manda il comunicato e poi tutto su Spotify e consimili.

No: stavolta il disco lo trovi solo su Bandcamp. E (orrore!) te lo devi proprio comprare. L’offerta parte da 13 euro, che con le tasse sono tipo 15 e rotti. Ora: faccio il giornalista musicale dagli anni Novanta (ok, boomer) e perciò mi fa doppiamente strano comprare un disco da recensire: primo perché, so che non sembra, ma per me questo è un lavoro. E secondo perché nell’era di Spotify ci siamo davvero disabituati a comprare dischi, se non l’ennesimo vinile dei Beatles che poi lascerai lì a prendere polvere perché c’è tutta la discografia di Elettra Lamborghini gratis su Deezer (ok, ho esagerato).

In realtà sui social i C+C spiegano che ai giornalisti mandano il disco gratis, perché insomma qualcuno che crede ancora che questo qui sia un lavoro in giro c’è. Però l’ho comprato lo stesso e l’ho fatto volentieri. Primo perché i C+C Maxigross sono una band veronese la cui storia spicca nell’alternative italiano per originalità, per talento e per scelte, ma forse questo l’ho già detto. E secondo perché si tratta davvero di una scelta interessante, controcorrente e anti sistema, in qualche modo. Vincente? Per loro sì, a quanto dicono. L’articolo de Le Rane da cui ho appreso dell’iniziativa diceva che hanno già incassato in pochi giorni dieci volte quello che avrebbero incassato in un anno su Spotify.

Lo spiega benissimo la band stessa sul proprio sito: “Questo disco verrà pubblicato solo su Bandcamp perché in una società che si definisce “civile”, “moderna” ed “evoluta” è per noi inammissibile che chi crea e dedica la propria vita all’espressione artistica, nel nostro caso Musica, sia costretto a distribuire gratuitamente il proprio lavoro attraverso piattaforme di sfruttamento economico legalizzato come Spotify (iTunes Music, etc…) per vedersi remunerare annualmente nel nostro caso una media di NOVANTA EURO all’anno per lo streaming del nostro intero catalogo (6 dischi tra album ed ep realizzati in dieci anni)”.

Peraltro tutto l’intervento dei C+C merita di essere letto (lo trovi qui) e fa parte del nuovo progetto Tega, che in Veneto è una botta (polisemico) e che vuole tirare una botta al meccanismo musicale, andando a costruire qualcosa di più di una semplice etichetta.

Quindi inziativa replicabile? Uovo di Colombo? Scialuppa di salvataggio per la musica italiana e mondiale così in sofferenza? Piano.

Intanto c’è chi si può permettere di sparire da Spotify e chi no. Questo tipo di iniziative, per come la vedo io, non potrebbero funzionare per chi sta troppo in alto, come vendite e stream, né per chi sta troppo in basso. Chi ha un seguito molto vasto finirebbe per perderci, perché guadagna troppo dagli ascolti casuali di chi assapora soltanto canzoni random in streaming. Quindi Vasco, Liga, Nek, potete saltare questa parte.

Ma ovviamente anche gli emergenti avrebbero da perderci: se non hai ancora costruito una base solida di fan, come fai a vendere loro qualcosa? E non parlo solo dell’omino con la chitarrina o la tastierina che ha fatto tre cover di Mac DeMarco su Facebook. Parlo anche di gente che ha già iniziato a suonare in giro (presente quella cosa che si faceva in passato dal vivo?), che ha già sollevato qualche sopracciglio, che ha già una base di appassionati, ma che ancora non può contare su numeri particolarmente interessanti, tanto da coprire le spese di un album o di un tour.

Può funzionare per band e artisti già consolidati e con una base già così fidelizzata che compra il merchandising, segue tutte le iniziative, apprezza tanto da mettere mano al portafogli senza farsi troppe menate perché la band o l’artista è diventato un punto di riferimento importante.

C’è anche l’aspetto della comunicazione da prendere in considerazione, peraltro. Perché non è che tutti si possano permettere di non comunicare l’uscita o di non fare uscire recensioni oppure di farne uscire poche. E se vogliamo da questo punto di vista quella dei C+C è un’operazione anche furba, perché essendo i primi o fra i primi a fare qualcosa di questo genere, hanno subito attirato l’attenzione di noi media del settore. Ma se diventa la norma, chi se ne occupa più?

In ogni caso ci si permetta di dire una cosa: l’operazione della band veneta è tutto sommato più onesta rispetto a tantissimi crowdfunding che si vedono in giro. Il crowdfunding è uno strumento che ha le proprie motivazioni e che, se usato in modo giusto, è anche nobile. Ma non si può negare che sia deragliato in modo equivoco verso una sorta di finanziamento a pioggia per progetti che nascono in un modo e finiscono in un altro, tradendo di fatto la propria vocazione originaria. Qui compri quello che vedi, come dal salumiere, solo con meno grassi saturi.

C+C=Maxigross traccia per traccia

E veniamo allora al disco propriamente detto. Un disco, vivaddio, non concepito durante la quarantena, come ci tengono a sottolineare, ma nato prima. E aperto da Oltre le sabbie, un’intro/videogioco anni Ottanta di pochi secondi.

Si prosegue poi con l’andamento sinuoso ma nervosetto di Vieni qui che mi svegli, animata da fantasmi sonori di vario genere, con sovrapposizioni sonore e canore che fanno sì che chi ascolta si senta preso in mezzo da più fronti.

Piedi asciutti cammina con intenti narrativi ed esplosioni di battiti, con uno stile che per certi versi può ricordare (non è la prima volta nella loro storia) quello dell’illustre ex compagno di etichetta IOSONOUNCANE. Del resto anche qui si parla di mare, di acqua, di sale, appunto.

Ed ecco quindi la figura del Guardiano, un po’ mesta ma anche minacciosa, che si delinea all’orizzonte, con un crescendo di fiati e una certa fluidità ondeggiante.

Tentazioni di fuga quelli che emergono, con dolcezza e malinconia, insieme a Tarantola. Il vento si confronta con quella che è la fine ultima, con l’ultimo giorno, rappresentato con serenità e con una sorta di accettazione, benché nella musica del brano si percepisca una certa inquietudine, che cresce insieme alle armonie vocali.

Ecco poi Tega pt. 2, strumentale soffice e circospetto, a metà tra jazz e ambient. Tornano a cantare in Lontano, che forse cita (e forse no) Tenco, ma che comunque si anima di sensi e sentimenti che veleggiano verso confini remoti e con un’idea di avventura tranquilla.

Il disco si conclude con Tempesta, in cui il basso mostra intenzioni non pacifiche fin dalle prime battute. Strade buie infinite richiedono attese e sonorità costruite con tanti piccoli elementi complementari, che poi svaniscono gradualmente. A fine disco, tutto il lavoro è riproposto in traccia unica, come in un grande lato B che rispecchia fedelmente il lato A.

Per certi versi stupisce meno il disco dell’operazione di lancio, ma questo soltanto perché agli universi immaginativi dei C+C=Maxigross ci si è fatta un po’ la bocca e anzi ce li si aspetta. Anche questa volta la band non delude le attese, confeziona un grumo narrativo potente e lo attornia con orchestrazioni mai arroganti e sempre adeguate. Un disco che sa scintillare con educazione, senza voler abbagliare.

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