Ciliari, “Maledetti noi”: recensione e streaming
Maledetti Noi è il primo album di Ciliari (distribuito da Believe), anticipato dai singoli Maledetto Amore, Enoteca Discoteca, Puntifragola e Basta. L’album si apre con Giradischi, focus track e cuore del progetto, nella quale Ciliari parla di un amore estivo e di quel giradischi nella sua testa che lo rende confuso ma, allo stesso tempo, euforico.
Il complesso intreccio di emozioni viene raccontato con leggerezza e spontaneità, attraverso il richiamo di elementi tipici dell’atmosfera estiva. Il suono delle onde e le stelle alla finestra fanno da cornice allo scenario descritto, conferendo al brano l’analogia di un caldo rifugio perfetto per queste giornate cupe.
Questo è un disco per chi dell’amore forse non ci ha mai capito niente, per chi l’ha maledetto o per chi vorrebbe non finisse mai
Ciliari traccia per traccia
Atmosfere vintage con un pizzico di Carella in Giradischi, che richiama atmosfere di altri cantautori indie e che scintilla qui e là, con un background di malinconia che non se ne va mai davvero.
Di sbronze atomiche e di Acqua tonica si ragiona con il pezzo successivo, che trova un certo ritmo frizzante e leggero a dispetto delle nostalgie che il testo racconta.
Ciao è evidentemente un saluto ma anche la cronaca di alcuni cambiamenti, con ritornello che ribatte sul concetto che senza di lei si sta meglio. Si parla di morte, ma con un po’ di leggerezza e qualche “uo-uo”, in Sono già morto, cantata tra depressione e voglia di rivincite.
Contraddizioni in corso in Basta, che ha un cantato un po’ alla Frah, mentre Questa notte fantastica torna sulle sonorità 70s, con un pizzico di disco/r&b nelle vene e un po’ di allegria da spargere in giro.
Si balla anche in Puntifragola, che ha sapori tropicali e mantiene l’impegno: “Giuro questa non sarà una canzone triste fra le tante”. Anzi, parte quasi il samba mentre si parla di spese al supermercato, secondo l’assunto per cui la felicità sta nelle piccole cose.
E si prosegue con Enoteca Discoteca, che prolunga la voglia di festeggiare (anche se il concetto base è “stessa spiaggia stesso mare/bevo per dimenticare”) con un brano estivo e spumeggiante.
Certo poi si torna al pianoforte, alla ballad, alle malinconie di Maledetto amore, cantata per lo più sottovoce e non esageratamente innovativa (e forse per questo già ascoltatissima). Si chiude con Fine, coda strumentale che non stravolge particolarmente.
Un album che sembra una partita di calcio con un primo e un secondo tempo: dopo la prima metà del disco pensi che Ciliari sia ancorato a concetti di cantautorato indie A.D. 2018. TheGiornalisti, Gazzelle degli esordi, nostalgia a palate eccetera. Poi improvvisamente ti piazza tre brani ironici e vivaci che ribaltano un po’ di concetti.
Ora: Ciliari è ancorato all’indie degli esordi e si crogiola un po’ nella nostalgia, tra l’altro in un genere che fa della nostalgia uno dei propri centri nevralgici. Ma il suo lo sa fare bene, pesca e pescherà tra quelli che “Eh ma Calcutta non è più lui”, scrive buone canzoni, ma migliori se li innaffia con un paio di sorrisi.