Cisco, “Indiani & Cowboy”: recensione e streaming
Niente Dinosauri, niente Casa del Vento, niente Modena: Stefano “Cisco” Bellotti torna con Indiani & Cowboy, album composto di dieci canzoni che parlano di muri alzati, porti chiusi, uomini e donne che, con le loro storie, vivono il presente e il futuro di molti.
Come un emiliano in America, il cantautore è volato fino in Texas per raccogliere la giusta ispirazione e l’album è nato con il prezioso contributo di Rick del Castillo, musicista e produttore, noto per essere l’autore delle colonne sonore del regista pulp Robert Rodriguez.
“Indiani e cowboy è un album pensato in maniera diversa da tutti i miei dischi precedenti. Il viaggio americano vicino a quel confine tanto chiacchierato e discusso è stato fondamentale e decisivo, soprattutto per il contributo di Rick del Castillo che ha preso in mano le canzoni, ripensandole e trasformandole, donando all’album un suono completamente diverso.”
Cisco traccia per traccia
C’è un po’ di atmosfera western ma anche una sorprendente chitarra elettrica in Adda veni Baffone (per i millennials: all’epoca “Baffone” era Giuseppe Stalin, di cui si temeva/annunciava la venuta imminente), con il ritornello ripetuto a mo’ di mantra.
Sale piano piano la voce all’interno di Siete tristi, invettiva piuttosto anti-social ma in genere anti-modo di vivere contemporaneo, cibi precotti compresi, con i fiati che si divertono e svariano. Riferimenti al calcio, come peraltro anche nel brano d’apertura, ma anche alla tv.
L’erba cattiva mantiene la tromba sullo sfondo, ma assomiglia di più ai ritmi del dub, con un finale piuttosto elaborato a livello sonoro.
C’è spazio naturalmente anche per riferimenti diretti alla storia d’Italia: tocca a Guido Rossa, operaio e sindacalista genovese ucciso dalle BR nel 1979, per un pezzo doloroso e che forse più di altri fa pensare ai brani in stile MCR.
Altro personaggio contro (e sempre morto a Genova) è Don Gallo, prete “di sinistra” sempre vicino agli ultimi. Qui siamo più vicini al ritratto classico, per un pezzo tutto sommato morbido.
Poi bisogna tirare fuori le pistole perché arriva Lo sceriffo: anche qui si tratta di ritratto, e anche qui viene da pensare a personaggi contemporanei, zona Viminale, e benché il testo sia parecchio critico, l’atmosfera sonora è un rockabilly giocoso.
Si viaggia in territori tipo Calexico in Non in mio nome, tra scritte sul muro e necessità di protestare, nella quale si incunea il suono della fisarmonica. Si parla di ragazzi costretti ad andare via per cercare una vita migliore, ma sono migranti italiani diretti altrove. Con un po’ di speranza in fondo.
Title track al contrario, Cowboy e indiani mette su un mezzo tango, aggiunge una voce femminile, allarga lo sguardo sul Grand Canyon, mette su una robusta sezione di fiati e lascia ancora spazio per la chitarra elettrica (probabilmente mai così presente in un disco di/con Cisco).
C’è la chitarra anche in apertura di Porto con me, ma qui l’atmosfera è differente, e la sottolineano anche gli archi. Non è una ballad ma forse vorrebbe esserlo.
Si chiude con Bianca, che porta in Texas il dialetto emiliano, per un brano intimo e malinconico, con un discorso cromatico piuttosto approfondito.
Qua sotto c’è scritto “Genere: cantautore, folk”. Ma è una mezza balla: le radici di Cisco sono indubbiamente folk, e ci sono fior di album a dimostrarlo. Però poi si è messo in marcia, ha superato un po’ di barriere e ha dimostrato di poter dire la sua anche in generi diversi.
Questa sua “Americana” prende un po’ di influenze da tutte le parti e le coniuga con un modo di pensare e di rielaborare che è sì “popolare” ma in un senso ampio e variegato. E che non si ferma a guardare i confini, di nessun tipo.