“E’ stato un anno strano, speciale, intenso”: questi tre aggettivi, che Cosmo utilizza per raccontare i processi alla base del proprio nuovo album, Sulle ali del cavallo bianco, si adattano bene anche a gran parte delle canzoni del disco stesso. Scritto in collaborazione con Alessio Natalizia (Not Waving), il disco arriva tre anni dopo La terza estate dell’amore e comprende undici brani, che spostano un po’ più in là la percezione di quello che abbiamo imparato a proposito di Cosmo.
La mia musica ha un linguaggio che non tutti capiscono. Questo perchè per certi versi è un ‘atto masturbatorio’. Gli sperimentatori che ‘si masturbano’ con gli strumenti, i suoni, gli arrangiamenti, le citazioni musicali – facendo se possibile abbinamenti assurdi – sono inevitabilmente in un trip tutto loro e rischiano quindi di non comunicare in modo efficace con l’esterno. Quello che cerco di fare con Alessio [Not Waving] è qualcosa che non esiste, una ricerca tutta nostra per restituire alla realtà possibilità nuove e mettere in circolazione qualcosa che prima non c’era e che quindi ha senso produrre. Tuttavia abbiamo il forte desiderio di essere diretti e sinceri, di far entrare in questo viaggio altre persone, di empatizzare. Siamo qui a fare pop, di fatto. In poche parole: vogliamo fare della nostra ‘masturbazione’ un piacere per tutti
Cosmo traccia per traccia
Più che il cavallo bianco, è il treno il mezzo di trasporto che viene in mente quando si incomincia ad ascoltare Come un angelo, il brano d’apertura dell’album: una progressione ritmica serrata che però lascia spazio a molta dolcezza e melodia, condensata fra voce e pianoforte.
Gira che ti gira scende a terra e si fa un po’ più minimale a livello di suoni. Il concetto è “nessuno è normale”, come esplicitato anche da alcuni riferimenti sessuali di varia tipologia, in un brano piuttosto divertito e leggero.
Si va poi a esplorare Talponia, curiosa esplorazione d’infanzia, gentile e delicata, con sentimenti di speranza che si allargano, in attesa di stupori futuri. E se utilizza i cori e si tropicalizza, formicolando via di piccoli suoni che si fanno via via più martellanti, in attesa di un’epifania finale.
Il ritmo è il protagonista anche di Troppo forte, già presentata come singolo e acidina per quanto riguarda i suoni. Il testo viaggia a opposizioni, come se fosse una serie di pensieri gridati sul dancefloor, con qualche riferimento al presente politico. Alla fine comunque “muovi il culo e vinci sempre“, anche se il finale si fa quasi zen.
Un po’ più intimi gli istinti che si raccontano ne L’abbraccio, che celebra “il desiderio che diventa rivolta“, una stretta forte che va al di là di paure e di differenze di pensiero. Con una domanda che aleggia sul finale: “Che cos’è l’amore?“
Promesse che non si possono mantenere aprono Tutto un casino, che poi si accende e si frammenta, si movimenta e si scompone, almeno finché non arriva il dolore e tutto si spegne e si richiude su di sé. Poi ci si riapre e si ricomincia a ballare, in un eterno e mai soddisfatto desiderio di condivisione eterna e totale.
Castelli sulle nuvole e profondità abbandonate dominano Ho un’idea, che viaggia tra gli estremi con grandi apporti di elettronica e di pensieri che viaggiano senza barriere. Ma poi il brano cambia, Cosmo cade sulla Terra e si confronta con ritmi molto più tribali, con il sudore e con i batteri.
Sussurri e baci sotto il mento popolano Momenti, che vorrebbe ritornare nel passato per riscoprire di nuovo le stesse sensazioni. Le sensazioni contrastano con se stesse, la nostalgia non si fa prevalente, ma la consapevolezza del dover godere dei momenti e di lasciarli andare aumenta gradualmente arriva fino a una sorta di climax. E poi riparte tutto da capo, in un ritorno più o meno eterno.
Ecco quindi la title track Sulle ali del cavallo bianco, che si apre sul letto del fiume: la tentazione di lasciarsi andare alla corrente è forte, ma poi il cavallo bianco decolla e porta tutti con sé, in una danza ossessiva che va vissuta con tutte le proprie forze.
A chiudere, ecco Il messaggio: un ultimo passo “al di là del confine”, per concludere una ricerca di un posto dove non c’è tristezza né felicità, ma qualcosa rimane. Qualche suono fa pensare all’elettronica anni ’80, mentre si celebra un abbandono che è anche una rinascita, in una scintilla di conoscenza estrema, che poi corrisponde all’amore.
Ripensando a La terza estate dell’amore, si direbbe che Cosmo abbia deciso che la festa è finita e che è ora di richiudersi in sé, raccogliere i pensieri, sostituire la consapevolezza al divertimento inconsapevole, insomma crescere. E probabilmente tutto questo è un po’ vero, sia per ragioni anagrafiche, sia perché uno si guarda intorno e si chiede che cosa cazzo ci sia da divertirsi, di questi tempi.
Però al di là di questo tipo di valutazioni superficiali, quello che si percepisce dal nuovo disco del ragazzo di Ivrea è una ricerca che si fa più intensa, perfino disperata, ma anche una vocazione spiccatamente spirituale. Certo: non è che stiamo parlando di un mistico del Trecento, Cosmo è un musicista che nasce entro certi canoni, che non disdegna di frugare nelle periferie del suono, che non rifiuta e anzi ricerca il piacere corporeo anche e soprattutto attraverso la musica.
Per questo ne esce un disco “strano, speciale, intenso”, come si diceva all’inizio: alcune delle tendenze, sonore e di pensiero, sono portate qui all’estremo, per esplorare territori lontanissimi e iperurani, ma sempre con una certa grazia e senza perdere mai veramente il contatto con il terreno, in un album interessante, coerente, molto ben riuscito.