Ambiente estivo e arieggiato, quello che accoglie Cri+Sara Fou, impegnati in una serata di luglio all’Officina del Bar Dante di Acqui Terme (Alessandria). Il duo presenta le canzoni di Non siamo mai stati, album figlio di un incontro tutto sommato casuale e di una formazione che in realtà non sarebbe dovuta essere.
Mentre si litiga con accordatori elettronici e ci si gode la brezza della città termale, Sara ci racconta come la sua strada con Cri si sia incrociata quasi per sbaglio e come quello che doveva essere un “one shot” sia diventata una collaborazione stabile fra la cantante di Follonica e il chitarrista di Verbania.
“Stabile” non è invece quello che si può dire della serata, con l’inizio lungamente rinviato (si aspetta l’arrivo della “movida” acquese) e con qualche problema tecnico che si presenterà a più riprese. Il duo parte da Il vizio, che è anche il singolo di presentazione del disco, già in grado di far capire l’intensità delle canzoni del duo. Si transita poi attraverso Nei suoi passi.
Mentre Ciliegio mette in rilievo la chitarra, il set prende quota anche dal punto di vista dei volumi. Novembre è presentata con i ringraziamenti a produttori e collaboratori. Il brano è vivo e d’assalto fin dalle prime battute. Più discorsiva L’abitudine, in grado di mettere in evidenza tutte le qualità della voce di Sara.
L’ennesima canzone sul tempo, che nasce come duetto con Paolo Enrico Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi, che ha prodotto il disco e che qui ad Acqui è di casa. E infatti è presente, cappellino ben calcato in testa e sguardo benevolo nei confronti di Sara e Cri.
La canzone qui è eseguita per voce sola, tocca vette alte e corde intime. Poi si parte con qualche cover: Le vent nous porterà dei Noir Désir vede l’intervento di tastiere e ukulele arrangiato in funzione di basso: i risultati sono particolarmente urbani e a trama fitta. “Lui (Bertrand Cantat, ndr) è uno stronzo, ma la canzone è bella” è il succo del messaggio che Sara ci tiene a recapitare dopo averla eseguita.
Altra cover è un omaggio a Piero Ciampi, con Il Vino, particolarmente adatta alle colline piemontesi che circondano la location. Nel frattempo il tuo recensore ha il tempo di scambiare due chiacchiere con Archetti Maestri e di ringraziarlo per quel gioiello che è In Novembre (su Percorsi di musica sghemba, del ’96). Tra un brano e l’altro, ci spiega in due parole l’alluvione del ’94 e l’angoscia di vivere in un mondo senza comunicazioni.
Ed ecco materializzarsi proprio la cover di Lettera di morte apparente, degli Yo Yo Mundi appunto, purtroppo contrassegnata da qualche problema tecnico. Una costante della serata.
Si va verso la chiusura, con La linea della lama, d’impatto e convinta, con un certo rammarico: gli spettatori casuali non hanno prestato la giusta attenzione alla performance, la collocazione del palco non ottimale e le questioni tecniche hanno spesso rallentato, quando non rovinato, il lavoro dei due.
Peccato perché la sostanza, l’impegno, l’abilità e il talento c’erano tutti e, per chi ha prestato la giusta attenzione, si sono fatti sentire.