Dahlìa, “Hybrid Essence”: la recensione
Hybrid Essence è l’album d’esordio del trio Dahlìa in uscita per l’etichetta Finisterre. Otto canzoni originali che creano un mondo di suoni nuovi e descrivono paesaggi in un chiaroscuro elettronico: racconti di viaggi, storie di amori fragili ma intensi.
Un sound che prevede soprattutto la combinazione di atmosfere elettroniche con strumenti musicali acustici poco usuali nel pop contemporaneo come la nyckelharpa, il nak tarhu e la ghironda.
Dahlìa traccia per traccia
Si parte dalle atmosfere soffuse e suggestive di Amor, costruita con il velluto ma capace di ritmi e di intensità di alto livello.
Marrakech passa dall’italiano del brano precedente all’inglese, per regalare una ventata d’aria legata ai soffi dell d’n’b anni Novanta.
Pezzo più intimo sulle prime, ecco Sunset, che poi trasforma la propria intimità in qualcosa di più aperto e quasi sfacciato, pur senza eccedere.
E si va di incipit dell’Iliade con Diva, pezzo soffuso e marittimo, con sapori d’Oriente (a prescindere dalla cornamusa) convertiti in desideri di naufragio.
Un po’ di ritmo ispanico invece permea Hypnotica, che ha percussioni molto vivide ed esposte. Anche For granted non nasconde i meccanismi e anzi ci costruisce sopra un’aura di oscurità piuttosto affascinante.
Sempre suggestione e suoni isolati all’interno di To a friend, forse leggermente più semplice di altri episodi. Malinconia chiude il disco con sensazioni sparse e sonorità piuttosto diradate.
Disco ricco di lavoro e suggestione, l’esordio dei Dahlìa, con canzoni che puntano dritto sulla creazione di un background sonoro molto vario e sempre adatto a mettere in evidenza la voce di Arianna Colantoni. Un primo passo nella direzione giusta.