Dieci dischi notturni, per l’arrivo dell’inverno e le ore buie
Abbiamo pensato fosse giusto riunire qui dieci album per queste giornate corte, che sanno di nebbia e di inverno, che sanno di riposo e giornate in casa, di malinconia e di piccoli rimpianti per tutto ciò che non siamo riusciti a fare in questo complicato 2024, che è stato carico di nuovi inizi, soprattutto per qualcuno, che ha pubblicato un disco bellissimo. Il nostro consiglio è di distendervi, lasciarvi andare e accompagnare in questo inverno buio da una precisa selezione di artisti. Siete pronti ad avere i brividi?
“Whale Fall” di Damon Arabsolgar
Lo conoscevamo già per il progetto dei Pashmak e dei Mombao, eppure Damon Arabsolgar ha saputo regalarci una nuova ennesima veste, questa qui è la più invernale e personale che sentiremo. La nebbia della pianura padana, di un’adolescenza e un pianoforte, e un album di lunghissima gestazione che sa di casa. Brani che hanno passato lontano, che sono tristi e tristissimi, che si formano da soli un vecchio pianoforte, e che sono così belli da essere la nostra colonna sonora preferita per questo fine anno solitario. Tra italiano e inglese, tra cantautorato, songwriting, rock, folk e accenni psichedelici, Whale Fall è una autobiografia musicale sfacciatamente personale, che noi ascoltatori ci sentiamo quasi di troppo.
“Di Notte” dei Di Notte
Non so se vi ricordate quel periodo magico: dove c’erano i Royal Blood, dove ascoltavamo gli Arctic Monkeys e speravamo ogni giorni che Vivo Concerti (che in quel periodo aveva tutti i nostri artisti internazionali preferiti) annunciasse finalmente gli Strokes. Ci ricordiamo le file interminabili per i Kasabian al Forum, per Miles Kane ai Magazzini Generali, le trasferte con gli amici e i commenti sui Twitter. Questo disco qui, notturno per definizione, ci ha riportato a quel periodo, trovandoci più maturi, invecchiati incredibilmente bene, con i nostri chiaro-scuri, e quelle chitarre che ci avvolgono per sei tracce che non ci lasciano andare, neanche un momento. Un esordio che sa di casa, quello dei Di Notte, che sa del nostro passato condiviso: che odora di nebbia, birra all’aperto, di un falò all’esterno di un centro sociale di periferia, dove continuiamo ad andare perché i nostri simili hanno il nostro stesso taglio di capelli. Il post punk, quello che non muore mai, che incredibilmente è italiano, e che ci piace tantissimo. Un inverno passato come tanti, che ritroviamo qui dentro, inaspettato e bellissimo come un album di fotografie abbandonato sotto al letto.
“La città radiosa” degli Epoca22
E se dobbiamo parlare di dischi oscuri, non possiamo che parlarvi anche di questo disco degli Epoca22: un disco che sa dei vicoli oscuri di Roma, dei centri sociali che abbiamo frequentato in passato, del post punk che abbiamo amato e dimenticato, di quei generi musicali che in Italia non ci sembravano neanche possibili. Se dovessimo definire in una sola parola il disco degli Epoca22 lo definiremmo “coraggioso”, perchè ci vuole coraggio ad addentrarsi in questi mondi bui, a fare in italiano qualcosa che in italiano non siamo abituati a sentire, che ci estranea da una scena bulimica e ripetitiva. Epoca22 è il nostro inverno rivoluzionario, per tutte le serate a cui abbiamo rinunciato per rimanere a casa, per stare lontano da tutto, per rimanere nella nostra città radiosa.
“Milalma” degli Agua y Agio
E non vorremmo mai che il nostro inverno sia solo vicoli bui e post punk, e non possiamo che segnalarvi un disco incredibilmente ballabile e trascinante, un mix incredibile di jazz, rumba, ma anche samba e lingue che si intrecciano e stratificano. Un mondo che sembra volerci ricordare che non esistono più le mezze stagioni, un disco per quelle giornate di sole incredibili, che ci consentono una biciclettata al parco anche in pieno dicembre, un disco per battere il tempo in segreto, legati all’ennesima scrivania, durante l’ennesima giornata uguale a quella prima. Quello degli Agua y Agio è un progetto sommerso nell’underground, che ci sembra incredibile non aver scoperto prima e che, siamo sicuri, rimarranno anche tra i vostri preferiti.
“Cronache di un apparente movimento” di Kill Ref & Hi Fi Ensamble
Ma perché non segnalarvi anche un disco strumentale, per cercare di farvi concludere l’anno rifuggendo da tutte le dinamiche del cantautorato e dei dettami dei due minuti e mezzo delle playlist di Spotify? Quello che vede insieme Kill Ref & Hi Fi Ensamble è una rilassante assenza di regole e di generi, dove ci si può lasciare andare a pillole di stasi elettronica, voci suavi che si si scontrano in ritmi da club, un delizioso ricordo invernale di un club berlinese che abbiamo frequentato in una vita passato, colori chiari in un universo oscuro, un mondo sommerso da cui non vorremmo mai emergere. Dischi del genere hanno una valenza quasi politica, nel non volersi collocare, nel volersi oppure a tutto ciò che è già presente sul mercato e, se come noi, ogni tanto, anche voi ascoltatori di quartiere, vi sentite sovversivi, potete ritrovarvi qui, con un disco indefinibile ma che vi farà tornare alle vostre estati di rave e perdizioni, ma restando saldamente legati ai braccioli della vostra poltrona.
“Live in Arezzo” di Galapaghost
E quando sentiamo la storia di Galapaghost rimaniamo sempre rapiti. Da Woodstock al Piemonte per amore, per sentirsi a casa. E quale migliore immagine dell’inverno perfetto se non un concertino in Toscana, divanetti, un cantautore con una chitarra che ci accompagna per mano nella sua storia fatta di buio e inverni: un cancro da vincere, lontano da casa, lontano da tutto, eppure sempre la luce in fondo al tunnel, l’estate invincibile dentro di noi (e di cui parleremo anche dopo, parlando di Milo Scaglioni). Questo disco, registrato in occasione di un concerto di Galapaghost al Malpighi Sofa di Arezzo, è perfetto per i pomeriggi di luce tenue, per i salotti da riempire di musica e di amore, per tutte le giornate invernali che sanno di famiglia, qualsiasi famiglia, anche quella che non c’è o che deve ancora arrivare.
“Burro Es Gergo Va” dei Bravo Gesù Roger
E se per caso avete in mente di organizzare una festa di Capodanno o una mangiata di Natale, vi abbiamo trovato oggi il disco perfetto per accompagnare la vostra serata: un disco per chi ha fame, che gronda di lussuria e sentimenti, di generi musicali e di cibo, un omaggio all’ abbondanza, materiale e musicale, e che non si può che amare sin dal primo ascolto. Tre ragazzi, quelli dei Bravo Gesù Roger, che non possono che starci simpatici, che ci offrono un disco per i giorni buoni, per gli amici, per i giorni di festa, per quelle settimane di quiete rumorosa, di parenti borbottoni e di… burro, burro ovunque, surplus calorico e reflusso gastrico. Jazz che si fa tutto, persino famiglia, persino Natale, persino l’ultima sbronza dell’anno.
“Hyper Swag” de La Psicosi di ottobre
E finita la festa di Capodanno, dopo che se ne sono andati via i parenti e gli amici ufficiali, quelli con i figli e gli orari d’ufficio, questo rimane invece il primo disco da ascoltare nel 2025. Quello dell’hyper swag è un genere del tutto nuovo, inventato da Federico Villa, ex Villa Psicosi, dove synth invadenti scuotono le pareti e richiamano le peggiori feste in casa: quelle con la gente svenuta sui divani, con l’alcol nascosto dietro ai caloriferi, a riempirsi il cellulare di foto che poi il giorno dopo ci aiuteranno a ricostruire la serata. Se avete bisogno di questo, e dopo un inverno rigido di giornate corte e routine forse ne avete proprio bisogno, un disco come quello de La Psicosi di ottobre potrebbe fare il caso vostro. Tra le influenze: la techno, gli anni Ottanta, i cartoni animati della nostra infanzia, le luci al neon, il Giappone nella sua versione più perversa, colori fluo e trucco eccentrico per la nostra festa segreta di Capodanno.
“The Wave We Were” dei Love Shower Love
La cosa migliore che i Love Shower Love ci hanno insegnato quest’anno è che ormai siamo relegati al catalogo di Spotify e simili, e non abbiamo modo di considerare che c’è veramente tanta musica fuori dagli store digitali. Band con le chitarrone, l’indie-rock che andava di moda qualche anno fa, quelle che ci hanno formato e fatto diventare degli audiofili borghesi, i primi anni Duemila che scavano verso la superficie dalla loro tomba, per riemergere e vedere la luce solo ora: un best of che riassume i sette anni di attività della band e che ci omaggia di tanta buona musica che non era presente (ancora) online. Un concentrato di brani perfetti per le nostre macchinate invernali, per andare al lavoro con il ricordo dei circolini, dei concertini che riuscivamo a fare, anche durante la settimana, anche a fare schifo, nonostante, la scuola, l’università e nonostante tutta quella vita che ora ci tiene lontano dai primi anni Duemila, che ci mancano terribilmente, ma per fortuna ogni tanto tornano, su Spotify e altrove. Per i momenti malinconici.
“Invincible Summer” di Milo Scaglioni
E ci sembrava giusto concludere questa lista di dischi diversi, bellissimi e a loro modo oscuri, con un disco che ci riportasse a un tepore estivo, e abbiamo ripescato un piccolo cult della scena indipendente, Invincible Summer di Milo Scaglioni, anche bassista dei Baustelle. Un mondo delicatissimo che a tratti di condisce di rabbia, in un folk-rock psichedelico, in bilico tra la scuola britannica di chi è cresciuto in quel bacino di influenze, da Beatles, agli Stones, ma con la profondità di chi ha saputo contaminarsi, resistere agli spigoli di un inverno molto rigido. Il titolo fa riferimento a un verso di Camus, dedicato a chi ha dentro di sè una forza che vince qualsiasi avversità, qualsiasi momento di buio, e spesso questa forza può arrivare anche da un buon disco, come questo. Milo Scaglioni condensa qui dentro tutta una sua vita, ad anni di distanza dal suo esordio Simple Present, dove si riscopre, dove c’è un protagonista che da Parigi arriva ad Amsterdam per un’ultima notte d’amore, la sua estate invincibile. Bellissimo e necessario per arrivare alla prossima estate.