
Il disco è un progetto doppio nato da un viaggio da Palermo al Messico che nell’album si traduce in dieci tracce. Sono reinterpretate in italiano le canzoni più conosciute della Vargas, registrate a Città del Messico insieme ai Macorinos, i suoi ex chitarristi.
Dimartino e Cammarata traccia per traccia
Non tornerò apre il disco con dolcezza. Voce e chitarra si appropriano delle prime battute, prima che una tromba lontana inizi a regalare qualche colore in più. L’uso delle voci sviluppa tessuti intriganti, come conferma anche la seguente Macorina, morbida e sensuale con la tromba capace di prendersi il centro della scena.
Le canzoni corrono via brevi e fluide, come Un mondo raro e la sua chitarra triste. È invece il pianoforte a tracciare le linee di Le cose semplici. Più animata e sinuosa Non son di qui, in cui la canzone d’autore di vari paesi mediterranei sembra darsi convegno.
Ritmi placidi e mollezza caraibica delineano gli orizzonti di Croce di addio. Accanto alle sensazioni trasmesse dagli originali ispanici, sembra che i due cantautori filtrino spesso suoni e cantato attraverso la lezione dei loro colleghi illustri italiani (qui per esempio c’è un po’ di Dalla).
Verde Luna apre con le percussioni e mostra un carattere determinato. L’ambiente in cui risuona il pezzo è tra il jazz club e la milonga. Ecco poi Le ombre, passi piccoli e contenuti, tessuto morbido e rimpianti a profusione. Andiamo via acquista vita e spinta dalla chitarra, trasformandosi presto in una fiesta che è anche un progetto di fuga. Si chiude con Pensami, ancora chitarra e rimpianto, in un pezzo struggente e malinconico.
L’operazione/omaggio a Chavela Vargas è compiuta da Di Martino e Cammarata non soltanto con il rispetto necessario, ma anche con la vitalità di chi vuole effettuare una riscoperta. Attraverso la lente di ingrandimento dei due le canzoni acquistano colori nuovi senza perdere niente dei vecchi.