Dorian Gray, “Moonage Mantra”: la recensione
Moonage Mantra è il titolo del nuovo album dei Dorian Gray, storica band dell’indie italiano attiva dai primi anni ’90 e giunta oggi a un nuovo capitolo discografico. Dopo sei album in studio e centinaia di concerti nel mondo, i Dorian Gray tornano con un disco che esce per Cassavetes Connection / Believe.
Il disco conta su ospiti musicali nazionali e internazionali come Blaine Reininger dei Tuxedomoon, Luca Masseroni dei Tre allegri ragazzi morti e Sebastiano de Gennaro di Calibro 35 e Le luci della centrale elettrica.
Dorian Gray traccia per traccia
Dimenticare Burroughs, la prima traccia, introduce a un disco che fa chiaro riferimento a un universo di sonorità new wave, vestite in modo elegante e con buoni riferimenti letterari nel testo. Forma e Apparenza si spinge in terreni più oscuri, elettronici ma tutto sommato sommessi.
Quasar percorre sentieri simili, ma suona più appassionata laddove la traccia precedente trasmetteva maggiore freddezza, con la partecipazione di Blaine Reininger. Resta a vederlo morire distribuisce dosi di odio su un tappeto morbido di pianoforte e voce. Il morbido strumentale Kali Yuga funziona da spartiacque per il disco.
Voodoo Connection inaugura la seconda parte di album, caratterizzata dai testi in inglese, con un pianoforte utilizzato in modo percussivo e un atteggiamento aggressivo. Anche Crowded Brain presenta un profilo ritmato e inquieto, con influenze di provenienza Depeche Mode. Idee molto più soffici quelle di Atacama Baby, prima di chiudere con Dreams Never Sleep, altro passaggio strumentale morbido ma con qualche segnale intermittente.
Prova significativa per i Dorian Gray, che dimostrano di non aver perso un grammo di eleganza e di saper interagire con le sonorità contemporanee con assoluta naturalezza.