Dust & The Dukes, “Dust & The Dukes”: recensione e streaming
Disponibile in cd e su tutte le piattaforme digitali per Santeria Records, con distribuzione fisica Audioglobe e distribuzione digitale The Orchard, l’omonimo album d’esordio dei Dust & The Dukes. Il power trio di Firenze, composto dall’italo-americano Gabriel Stanza (voce, tastiere, tromba), da Enrico Giannini (chitarre) e Alessio Giusti (batteria e percussioni), continua il suo percorso con la prima prova sulla lunga distanza, anticipata dal singolo Bueno’s e relativo video.
Formati nel 2016 e forti della vittoria alla 29esima edizione del Rock Contest di Controradio nel 2017, dopo un EP autoprodotto sempre nel 2017 e i recenti apprezzamenti di Marc Ribot, i Dust & The Dukes registrano il disco d’esordio in presa diretta, tutti insieme senza metronomo, per preservare l’attitudine e la sensazione coinvolgente della band che suona dal vivo, davanti al pubblico, e prodotto presso il SAM Recording Studio di Lari da Andrea Ciacchini (Blonde Redhead, The Zen Circus, Motta).
Dust & The Dukes traccia per traccia
Si parte da Run, che in realtà quanto a ritmi non corre tantissimo, ma che mostra subito i muscoli e alza un po’ di polvere, con sensazioni ruvide a pioggia.
Un po’ più morbida e anche piuttosto ironica Secrets in the House, che mescola un po’ di pop alla miscela di rock utilizzata dalla band.
Molto più acidella la già citata Bueno’s, che usa la voce per scalare qualche vetta e si sostiene con chitarre e tentazioni psych rock.
Ed eccoci alle atmosfere western: Just Fine è una cavalcata nel deserto, speroni e tutto, ma più Ombre rosse che Sergio Leone, pur con qualche momento quasi folk di intimità e concentrazione.
Piuttosto epica o comunque non priva di sensazione la seguente Just Fine, che torna ai sapori acidi e parzialmente lisergici.
Plus18 rumoreggia di chitarre e di elettricità, su ritmi hard rock (quindi moderati) ma tenendo un volume adeguatamente alto, con i Doors che ancheggiano sullo sfondo.
Luci leggermente più basse e umori meno rumorosi quelli di Life in a Bottle, che affronta altri deserti. C’è spazio anche per il pianoforte in Feather, ballata sorprendentemente morbida.
Quasi spiritual l’approccio di Losing Tune, pt. 1, che introduce a una molto più aggressiva e blueseggiante Losing Tune, Pt. 2, con frammenti di Black Keys sparsi ovunque.
Ottimo esordio per Dust & The Dukes, che apprendono una formula che all’estero è già molto consolidata ma ne offrono una versione molto personale e intensa.