Quattro anni dopo, l’Europa ci chiede decisamente altre cose: Cori da sdraio è il nuovo disco di Dutch Nazari, seguito appunto di Ce lo chiede l’Europa uscito nel 2018. E figlio di lockdown ma anche di situazioni personali e globali piuttosto mutevoli. Un album ben riuscito e come sempre in equilibrio tra un rap molto fitto di versi e di argomenti, ma gentile nei modi, e un cantautorato contemporaneo molto plastico e attento. Dopo un breve scambio su Instagram (in cui Dutch ci ha scritto di aver letto la nostra recensione ad alta voce dopo le prove del concerto: non capita proprio tutti i giorni, quindi consentiteci di tirarcela un po’) abbiamo concordato un’intervista al telefono tramite l’ufficio stampa. Ed eccola qui (foto d’apertura di Zoe Natale Mannella).
“Abbiamo fatto la prima data del concerto – racconta Dutch a inizio conversazione – dopo tanto tempo che non suonavamo, la settimana scorsa a Torino. Adesso stiamo preparando il live vero e proprio per il tour che partirà con quattro persone sul palco dal Mi Ami e quindi abbiamo due settimane per prepararci bene”.
E come è andata la prima data?
Benissimo, benissimo. Abbiamo avuto un po’ quella sensazione, che si dice, ma non sai mai se è vero, con la metafora della bicicletta. Effettivamente era tanto tempo che eravamo fermi, però ci sono bastati pochi minuti sul palco per entrare nella modalità adatta.
Io parlerei un po’ del disco, ovviamente. E partirei dal titolo. Quindi vorrei capire meglio in che cosa consistono i Cori da sdraio
Diciamo che c’è un pretesto che mi ha fatto venire in mente il titolo e poi una serie di layers o di gradi di interpretazione del significato. Questo è un disco scritto pienamente durante la pandemia: nel senso che dopo l’ultima tappa del tour precedente abbiamo deciso di chiuderci e scrivere musica nuova. La data si è tenuta a fine ottobre-primi di novembre 2019, quindi giusto tre mesi dopo c’è stata l’emergenza Covid, lockdown e poi due anni così.
E’ un periodo in cui tutti, e in particolare quelli che lavorano nel settore della musica, navigavano a vista e non si sapeva che direzione si sarebbe presa. In particolare una volta, sono andato a un concerto al Magnolia e ho visto che, nei brevi periodi in cui la musica dal vivo di fatto era consentita, avevano messo delle sdraio per per poter rispettare le distanze interpersonali. Quindi l’idea di Cori da sdraio, di canzoni cantate però per persone sedute su una sdraio.
E quindi da un lato queste sono le canzoni scritte durante il periodo delle sdraio, con la speranza di suonarle a un pubblico in piedi e assembrato, cosa che adesso in teoria ci stanno permettendo di fare. Però poi ovviamente il gioco di parole è con i cori da stadio che sono per eccellenza una forma canzone sloganistica, con nessuna attenzione alla melodia, perché le melodie sono rubate da tormentoni e con delle formule linguistiche tese ad affermare la propria verità e ad auto elogiarsi e auto “infottarsi”. E quindi sono una contrapposizione con qualcosa che va a riferirsi al tentativo o all’obiettivo di fare musica che sia invece in relazione all’altro, qualcosa di ponderato, ragionato e colloquiale.
Facendo un passettino indietro appena prima della presentazione del disco: volevo capire che senso ha avuto la camminata, che hai fatto, come come preludio alla presentazione, e volevo sapere se sei un buon camminatore abitualmente
Guarda, io ho iniziato a camminare molto per affrontare il vuoto lasciato dal primo lockdown e lo facevo ovunque mi trovassi. Cioè io ero in casa, sentivo di non stare bene, uscivo di casa, iniziavo a camminare. Quindi a esplorare le periferie malinconiche di Milano dieci, quindici, venti chilometri al giorno. Quindi in quel periodo lì il mio amico e socio, il poeta Alessandro Burbank, è partito a piedi da Torino per raggiungere Venezia, e ha fatto 540 chilometri a piedi.
Lui ha fatto questo per reagire a un lutto che ci ha preso tra capo e collo con la perdita del nostro amico Nebbiolo, cantautore torinese morto durante il 2020. Burbank ha organizzato anche un crowdfunding e ha istituito il premio Nebbiolo, che si è tenuto quest’anno per la prima volte e siamo stati chiamati a fare la giuria. In quel periodo, quindi ho raggiunto Burbank e ho fatto 120-130 chilometri con lui e mi è venuta la passione. Quindi poi mentre camminavamo aveva deciso di andare a Santiago e quest’estate abbiamo fatto il versante portoghese del Cammino di Santiago, quindi da Porto. E poi a settembre abbiamo fatto la Via del Sale partendo da Sanremo, siamo arrivati fino a Cuneo, con Dargen D’Amico. Quindi abbiamo aggiunto diciamo la componente di difficoltà del dislivello, con salita, poi discesa. Una volta che inizi a fare queste cose ti viene la passione e quasi la mania.
E ovviamente sono cose che impiegano soldi, ma anche giorni. A Santiago ci abbiamo messo tredici giorni ad arrivare, quindi ti devi organizzare e non puoi farlo sempre. Ma ha anche un ruolo simbolico un po’ propiziatorio tra di noi. Quando Burbank è arrivato a Venezia dopo 500 chilometri, quella sera lì c’era lo spareggio per permettere al Venezia di tornare per prima volta in serie A dopo tanti anni. Lui è arrivato e il Venezia ha vinto, con i tifosi che gli dicevano: “Grande Burbank ci hai fatto andare in serie A”. Poi quando siamo andati a Santiago, due mesi dopo, è successa la stessa cosa: era ancora un periodo di grandi restrizioni, noi eravamo gli unici italiani che facevano il cammino, mentre la Nazionale un po’ alla volta vinceva le varie partite che portavano in finale all’Europeo. E noi siamo arrivati il giorno a Santiago il giorno della finale e poi l’Italia ha vinto l’Europeo e ci siamo detti che l’avevamo fatta vincere noi.
E poi, come se non bastasse, a settembre partiamo con Dargen D’Amico che forse addirittura non aveva ancora mandato la richiesta per partecipare a Sanremo. O forse l’aveva mandata, ma di sicuro, come tanti, senza molte speranze. E siamo partiti da Sanremo e dopo qualche settimana è arrivata la notizia che Jacopo era stato preso tra i partecipanti al Festival. E anche lì ci siamo detti che avevamo portato fortuna.
In quella ottica lì abbiamo deciso di camminare perché poi non potrò più farlo essendo in tour. Tra l’altro era un po’ che non lo facevo, e mi è venuta tanta voglia di farlo, un po’ anche perché magari porta bene. Così sono partito da Brescia, che ha comunque un valore simbolico nella mia musica, perché la mia etichetta discografica è di bresciani, uno degli artisti a cui sono più legato è Frah Quintale che è di Brescia, e l’art director che ha curato tutta la parte visiva del disco è di Brescia. Sono partito da Brescia e sono andato a piedi fino a Padova.
Devo dire che Dargen, per esempio, non l’avrei visto in questo tipo di ottica. Almeno non si presenta tendenzialmente come un “adepto camminatore”.
Però lui è un grande viaggiatore. Appena può prende un aereo per il Giappone e va a vedere i ciliegi in fiore a marzo, e poi va in Sudamerica… Una volta ha fatto anche il giro del mondo.
Dutch Nazari: metto sempre tutto nelle canzoni

Senti tornando al disco, nella mia recensione ho scritto un po’ degli umori che si riscontrano…
Mi ha fatto ridere quando hai scritto che in quattro anni può anche passare un’incazzatura…
E in effetti, insomma, mi sembrava plausibile… Diciamo che è che però direi che forse è meglio se gli umori li racconti tu
Io forse faccio un po’ più fatica a vedermi “da fuori”, rispetto agli altri. A me sembra sempre di fare il mio disco. Se lo ascolto separatamente, mi rendo conto che ci sono delle differenze, però mi sembra sempre che ho fatto la stessa cosa perché ho dato voce alle mie cose con delle tecniche stilistiche che sono le mie. Però diciamo che secondo me una una cifra stilistica molto presente in quello che scrivo è una sorta di ironia malinconica. Credo che mi sia stato detto, e forse anche nel tuo articolo c’è scritto, che è ancora un po’ più presente e che ha preso il posto di momenti di denuncia incazzata. E’ un atteggiamento che magari in parte è cambiato, però manifesta gli stessi pensieri. Perché poi io sono sempre io.
L’ironia malinconica è assolutamente il tratto più riconoscibile. Ma ti pongo la stessa questione che mi è capitato di porre anche parlando con Willie Peyote e i Ministri: il disco precedente era forse più rivolto “all’esterno” in un certo senso. Questo mi sembra più personale
Diciamo che Willy Peyote ce l’ha proprio nel titolo no, la nostalgia. E quindi sì, senz’altro questo qui è un punto comune. E allora forse quello che dici tu è semplicemente l’effetto di stare chiusi in casa, invece che confrontarsi col resto del mondo. Siccome poi io metto sempre tutto nelle canzoni, è difficile che una canzone parli di una cosa e basta. Magari si parte da un tema grande, poi ci metto dentro le mie vicende personali. E una componente molto importante della vita di un individuo è quella relazionale: è facile che scivolino riferimenti alla mia situazione relazionale in canzoni che parlano anche d’altro. Il disco precedente l’ho scritto mentre ero fidanzato e questo qui è un disco che ho scritto dopo la rottura. Di sicuro è una differenza e probabilmente anche un motivo di guardarsi dentro. Quando succedono queste cose qui devi essere un po’ più introspettivo, come hai notato.
Peraltro, e in contrasto con quello che ho appena detto, una delle frasi chiave, secondo me, del disco “I privilegi, un po alla volta si prendono al posto dei diritti”
Be’, questo è un discorso che nelle aree politiche di riferimento mio si fa da molti anni, almeno da quando ero più piccolo io. E diciamo che la somma di queste due cose fa il totale, nel senso che non garantisce l’applicazione, una volta che si stabilisce un diritto. Per esempio il diritto all’aborto: se tu non garantisci quel diritto e assicuri che sia che sia effettivamente praticabile, o uno, se ha i soldi, va in Olanda, in Svizzera o da qualche altra parte, oppure non ce li ha e non ha garantito il suo diritto, quindi automaticamente diventa un privilegio di chi se lo può permettere. Lo stesso vale per qualsiasi argomento, per esempio sulla morte medicalmente assistita: c’è la possibilità che si vada all’estero.
Sempre a questo proposito volevo sapere anche come è andata l’ospitata dalle Iene
E’ stato tutto molto rapido. Io sono stato contattato venerdì per fare questa cosa qui e mi avevano dato a disposizione un autore con cui poi mi sono consultato. Però io ho chiesto se potevo scrivere io il testo che poi avrei letto e così ho fatto. E per scriverlo mi sono sentito con un giornalista bravissimo che si chiama Alessandro Sahebi, molto esperto di questi temi e che io già seguivo, quindi mi ha aiutato ad avere tutti i dati in ordine. E’ stata una cosa molto veloce, perché poi lì è una super macchina: sono salito, ho letto la mia roba, l’ho riletta per sicurezza, perché avessero due takes. Peraltro un fatto molto curioso che anch’io non sapevo è che Le Iene decidono la scaletta in corsa. Quindi io fino a cinque minuti prima non ero sicuro che sarei stato quel giorno lì. E poi, quando hanno deciso che io sarei andato in onda, in maniera estremamente organizzata ed efficiente, mi hanno contattato, dicendo: guarda che tra tre minuti sei in onda.
Tornando al disco vorrei sapere qualcosa di più delle collaborazioni che hai scelto. Perché ce n’è qualcuna abbastanza classica e qualcuna forse un pochino più sorprendente
Diciamo che, mettendoli in slot un po’ precostruiti e ovviamente semplificando, ho l’amico rookie, cioè quello che per me è un fenomeno, ma ha un seguito minore degli altri (See Maw), l’amico fenomeno e famosissimo, Frah Quintale, e poi l’outsider che non è un amico, ma che è nella mia quota fan, e mi piace così tanto che gli ho chiesto se voleva collaborare, che è Nayt. Con See Maw è successo che essendo io fan del suo progetto musicale ce l’avevo molto cuore, la sua vocalità molto presente in testa perché stavo ascoltando molto le sue canzoni in quel periodo e io avevo scritto una canzone per intero, scritta e registrata, che era alla fine. Però la mia voce su quel ritornello in particolare non mi soddisfaceva al 100% e quindi mi è venuto in mente che secondo me il timbro di voce di See Maw sarebbe stato un bel tentativo da fare. Quindi io gli ho mandato la canzone e lui l’ha ricantata praticamente, con la sua bellissima voce. Ed era chiaro, come ho visto fin da subito, che andava tenuta così.
Per quanto riguarda Nayt, invece io ce l’ho più o meno sul radar come rapper da almeno dieci anni, perché lui ha iniziato ad arrivare anche a livelli diciamo alti da giovanissimissimo, forse nel 2010. Lui è del ’94, quindi già a 16 anni faceva dischi con Primo Brown, quando era ancora vivo. E però poi lui è un po’ esploso un paio d’anni fa con Gli occhi della tigre che è super rap serratissimo e diciamo “da battaglia”, rap kill e quindi ce l’avevo presente in quel modo lì. Invece quest’anno ha iniziato un percorso che gli ha fatto fare ben due album in un anno, uno si chiama Mood e uno si chiama Doom, che dal punto di vista musicale e da tutti i punti di vista, dei testi delle basi, è proprio la mia roba, mi piace proprio tanto. E quindi c’è, per capirci, il mio Spotify Wrapped di quest’anno mi diceva che lui era il mio artista più ascoltato. Ho preso atto di questa cosa, sapevo che avevo una canzone in cui sarebbe stato bene e quindi ci siamo sentiti. Lui è venuto in studio da noi un giorno a sentire un po’ le robe e ha detto: guarda, mi piace, passami tutto. E poi ha scritto le sue cose, ha registrato la sua strofa e me era passata. Io ero molto, molto contento, ed è uno dei pezzi che più mi soddisfa del disco.
E invece l’ultimo è Frah che invece proprio un amico e ci vediamo spesso, noi siamo membri della stessa etichetta che è una piccola realtà indipendente. Il che significa che io di giorno se non ho altri impegni specifici, vado in studio così, giusto per fare due chiacchiere. Se ci sono delle idee da farsi venire vengono fuori anche così liberamente e quindi anche lui lo vedo molto spesso e quindi ci siamo semplicemente presi lo studio un paio di giornate e abbiamo ascoltato un po’ di strumentali, tra cui ce n’era una che è quella che abbiamo scelto che piaceva molto entrambi e l’abbiamo scelta
Sì, tra l’altro di Più in alto, banalizzando un po’, mi sembra che vada al contrario rispetto a quello che si dice della vostra generazione di rapper e cantautori, nel senso che c’è tantissima voglia di riscatto nella canzone
Che è l’altra faccia della malinconia, nel senso che parla della malinconia, ma parla anche dell’importanza di darsi, cioè di darsi una spinta e e affrontarla.
Da Vasco a Sanremo
E’ vero che ascolti ancora Vasco, come dici in Long Island, e oltre a lui che cosa?
Sono fan sfegatato del primo Vasco fino al 90, fino a Canzoni per te, ma anche forse fino a Buoni e cattivi che era l’ultimo cd che ho comprato, avevo quindi 14-15 anni, nel 2003. Quindi sì, mi piace molto, soprattutto la prima discografia. A me piace in generale tutto l’universo black, in America non solo, quindi il rap proprio tout court, ma anche soul, r&b e nello specifico, io quest’anno ho ascoltato molto gli easy life, non so se hai presente, è un gruppo inglese che fa un pop rap molto figo. Avevo anche il biglietto per andarli a vedere ad Amsterdam. Dovevo andare ospite da un amico, solo che si è preso il Covd due giorni prima. E per farti un altro nome in Italia, uno molto forte è Tutti fenomeni. Devo ancora ascoltare il disco che è che è uscito l’altro giorno però ho belle speranze.
A quanto si capisce dallo skit che hai messo nel disco, Lundini ti vuole vedere a Sanremo
Non è Lundini è Saverio…
Certo. Scusa hai ragione… “Saverio” ti vuole vedere Sanremo: tu ti ci vedresti?
Perché no? Secondo me è un po’ come chiedere a un calciatore se giocherebbe nel Real Madrid o se giocherebbe la Champions: è il livello più alto a cui esprimersi.
La tua obiezione fondata. Però non tutti la pensano così
Insomma sarebbe interessante parlarne con chi non la pensa così. Io credo di essere abbastanza palesemente un artista con dei profili, diciamo di indipendenza musicale, intellettuale e discografica, letteralmente, avendo io una piccola etichetta. Ma per me personalmente non c’è il fatto che questo fatto vada in conflitto con l’eventualità di andare a Sanremo, per me è un equivoco. Io sì, ci andrei. Il problema è sempre un po’ il “come”. Per me queste cose qui si fanno se hai la canzone che senti, che ti rappresenta al punto che la esporresti così tanto. Perché poi è una gigantesca esposizione, quella lì, che può avere dei pro e dei contro, in base a come te la giochi. Quindi devi veramente credere in quella canzone lì, al punto che poi magari tu la proponi e se te la prendono bomba, se no la fai uscire lo stesso. Perché era comunque la roba che volevi fare uscire.
Spiego meglio la mia obiezione precedente: credo che il conflitto tra Sanremo e gli indipendenti sia tramontato e sia roba vecchia. Anche perché, insomma, anche del tuo mondo sono passati tutti: Willy stesso, Ghemon, Dargen, eccetera eccetera. Quindi credo che sia totalmente sdoganato. Però uno può anche pensare che è un tale carrozzone, per cui teme di non essere adatto personalmente
Certo, però a quel punto lì è coerente il fatto di provarci lo stesso, nella misura in cui non ti snaturi. Guarda Truppi: è andato a Sanremo e ha fatto Truppi. Anche Rancore. Ma anche Willy: sono andati lì e hanno fatto la loro roba. E poi quel punto lì è il carrozzone che decide se ti vuole oppure no
Abbiamo iniziato parlando del tour e direi di chiudere proprio con il tour. Ho visto che fai parecchie puntate in festival e simili: vorrei sapere se sei di base, se preferisci il contesto festival o il contesto tuo personale.
Secondo me sono fighi i festival perché ci sono anche altri artisti, perché così ci si mescola i pubblici e tendenzialmente sono serate grosse e quando c’è tanta gente è sempre più bello fare vari live. D’estate di solito quello è il contesto e secondo me è più bello così. Poi in inverno ci sono i club e si fanno anche quelli.