Elbow al Vittoriale: il report
Serata ventilata e cieli pittorici al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (Brescia) che nell’ambito del festival Tener-a-mente 2017 ospita il concerto degli Elbow. D’Annunzio, che fece costruire per sé la villa, era quel che era, ma quanto a senso scenografico sapeva il fatto suo. La band di Manchester, sostanzialmente un pesce fuor d’acqua in quasi tutte le categorie schematiche in cui li si voglia porre, arriva carica dell’esperienza di sette album sulle spalle, l’ultimo dei quali è Little Fictions, uscito a febbraio.
L’anfiteatro ospita un pubblico numeroso e fiducioso, appagato subito dall’arrivo di un primo classico della band, quella Any Day Now che era prima traccia del primo disco, Asleep in the Back, uscito nell’ormai lontano 2001. Guy Garvey, voce, chitarra e faccia della band, comincia il proprio show personale dicendo che la vista è terribile. Ma poi chiarisce “penso sia il posto più incredibilmente bello in cui abbiamo mai suonato. E aggiunge, correttamente: “Vedo anche molta gente molto bella”. Poi parte con una particolarmente coinvolgente The Bones of You.
Ci sono sette elementi (e tre tecnici) sul palco, qualche zaffata di fumo e qualche gioco di luci a colorare canzoni lucide, tranquille e fluide. Garvey si scusa perché non sa parlare in italiano, quindi si sentirà la mancanza di qualche “ciao Gardone Riviera” pronunciato in modi improbabili. Ecco allora che si prosegue con Fly Boy Blue, particolarmente ricca di chitarre e di pathos.
Entrano anche i violini ad accentuare le sensazioni poetiche di pezzi come My Sad Captains. Platea già perfettamente conquistata e atmosfera già calda quando arriva Leaders of the Free world, tra le favorite del pubblico, aperta da un siparietto sul concetto “questa è un sacco di tempo che non la suoniamo. È dall’amministrazione Obama. Sembra passato un secolo!”
Switching off è invece aperta da un dialogo con il pubblico sulle esperienze di fine vita, compreso l’intervento di uno spettatore che racconta la propria. Il tutto a confermare il clima intimo e quasi da teatro di provincia (però figo e colto) che si è venuto a creare. Ogni tanto più che il teatro sembra il pub, ma non quando le canzoni partono: allora l’interruttore è acceso, i suoni scivolano, le atmosfere sono seta, raso e velluto.
Prima di All Disco c’è un problema tecnico, che la band supera con Garvey che chiede “some lite jazz” e comunque gigioneggiando come sempre. Nel pezzo qui e là emerge qualche sbavatura, qualche eccesso di confidenza, ma è tutto perdonato e ammorbidito in un amalgama soffice e corposo. New York Morning fa da apripista a due dei pezzi cardine del concerto, Magnificent (She says) e Mirrorball. La prima accende qualche luce in più e si affida a una tessitura molto fitta di chitarra, con un climax graduale ma molto intenso e perfino pop. Nella seconda le luci sono puntiformi ma la resa ancora più coinvolgente.
Si prosegue con i ritmi ipnotici e con le braccia tese al pubblico in The Birds, in una ricerca di contatto continuo, forse anche di sicurezze, che però arrivano costanti da una voce calda e avvolgente. Sul palco il contrasto tra Garvey, corpulento e sempre pronto alla chiacchiera, e Mark Potter, il chitarrista piccolo e silenzioso, è considerevole. Tratto d’unione la birra che i due consumano (infatti l’unica cosa che Potter dirà in tutto il concerto sarà un “Sei ubriaco!” indirizzato a Garvey). In compenso il chitarrista ama i cambi di strumento e non suona due pezzi di fila con la stessa chitarra, facendo sfilare anche dobro e Rickenbacker nel contesto.
Ecco altri pezzi, ora martellati di drumming ora più calmi, morbidi e fatti d’angora, come Little Fictions e Kindling. Il coinvolgimento del pubblico tocca il proprio apice del coinvolgimento prima di One Day Like This, con l’improvvisaIone di una canzone intera o quasi, a cappella. Ma per tutto il live la gente è stata coinvolta, ora con tentativi di armonizzazione, ora con il semplice movimento delle mani. Del resto le canzoni del gruppo hanno il pregio di non essere “facili”, hanno strutture e architetture ben studiate, magari su linee semplici che si intersecano, ma senza inseguire a tutti i costi il ritornello catchy o la strizzatina d’occhi.
Arrivano i bis, con Station Approach, Lippy Kids e Ground for Divorce, rafforzata da cori generali e da un paio di tamburi “di rinforzo” che il cantante suona con notevole vigore. Il trionfo è inevitabile. Vero che il sound a volte è molto omogeneo (qualcuno direbbe anche ripetitivo) ma le costruzioni dei pezzi degli Elbow sono ricche di sottotrame, come in piccole fiction che si costruiscano passaggio dopo passaggio. E il senso dello show dimostrato da Garvey varrebbe da solo il prezzo del biglietto, come si direbbe per le gesta di un fuoriclasse. Per non dire della location, sicuramente “magica”, aggettivo in questo caso per nulla esagerato.
Ancora da Il Vittoriale degli Italiani TRAKS per il concerto del Elbow. Un concerto Magnificent!Ja La
Posted by TRAKS on Saturday, July 15, 2017