Ex-Otago al PeM! 2018: intervista e report della serata
Testo e foto di Fabio Alcini
Fa imprevedibilmente freddino nel parco in cima alla collina di San Salvatore Monferrato che ospita l’edizione 2018 del PeM! Parole e Musica in Monferrato. Ma la serata estiva è riscaldata dalle chiacchiere e dalla musica degli Ex-Otago, fra le stelle più brillanti del panorama indie nonché del cartellone della rassegna diretta da Enrico Deregibus.
Sotto una luna piena e alla presenza di un pubblico più che discreto e molto attento, Maurizio Carucci e Francesco Bacci si presentano in rappresentanza del quintetto per raccontare un po’ di sé, di Genova, del momento in cui viviamo e per lanciare qualche occhiata sul disco nuovo, erede del trionfale Marassi, che arriverà nel 2019.
Si parte inevitabilmente parlando di Genova e di ponti crollati non per caso ma per incuria. Genova “città che non ti lascia intatto” secondo le parole di Maurizio, che può offrire aneddoti curiosi ma che lascia spazio anche a una band come quella degli Otaghi, nati gentili “quando a Genova tutti facevano hardcore, post hardcore, punk hardcore”
Scorrono così le istantanee degli inizi del gruppo (“Due concerti a Roma e già mi sentivo John Lennon”) alla presenza di un pubblico spesso ancora ristretto ma già molto affezionato. “Forse perché siamo sempre stati molto credibili e molto onesti. Siamo sempre stati questi qua”.
E dopo qualche dichiarazione di orgoglio pop si parte con la musica, con versioni voci e chitarra de La nostra pelle e Gli occhi della luna.
Poi le chiacchiere continuano e se Maurizio dichiara, fra le risate: “Oggi mi sono tranquillizzato perché ho capito di non essere un cantante”, Francesco confessa, non senza imbarazzo, di lavorare in università (con il “non cantante” che cesella “cazzo di borghese”, ridendo molto).
Si scopre anche che la scelta di cantare in italiano, dopo un primo disco in un inglese “scolastico” secondo la stessa ammissione di Carucci, è arrivata anche grazie a un suggerimento di Bugo. Peraltro, cantare in italiano “sono tutti cazzi tuoi, ma è anche giusto così“.
La serata si chiude con Quando sono con te. Noi di TRAKS, che siamo media partner dell’evento, abbiamo approfittato dell’occasione per rivolgere qualche domanda ai due, ottenendo risposte decisamente non banali.
Ex-Otago: trasformare la rabbia e la tristezza in energia positiva
Inevitabile partire da Genova, che è la vostra città così tanto che avete dedicato al vostro quartiere, Marassi, l’ultimo album. Che cosa vivete e pensate, in questo momento, per la vostra città?
Maurizio: Pensiamo e viviamo e ci rendiamo conto di essere sempre un po’ sfigati da una parte e in preda ai poteri forti dall’altra, perché anche in questo caso crediamo che ci siano dei responsabili legati al crollo del ponte Morandi ma che a oggi non sono stati individuati. Quello che poi a me personalmente fa incazzare è di non capire, di vivere in un mondo in cui è incredibilmente difficile trovare chi ha le responsabilità.
E questo è quello che fa più male, perché ci sono stati 43 morti, gente che ancora sta male, e si sta definendo come una pratica da accettare, come una routine: può succedere che muori e che nessuno ha la responsabilità, nessuno è colpevole della tua morte. E questo non è accettabile.
Siamo un po’ frastornati. Ci capita di andare in giro e portare la nostra musica, per cui facciamo quel grande salto, più che mortale, per trasformare la rabbia e la tristezza in energia positiva. Cosa che proveremo a fare anche questa sera.
Francesco: E’ difficile per chi subisce queste cose a un passo da casa. Ci è già capitato, eravamo in tour durante l’ultima alluvione. Ti senti sempre di abbandonare la tua città, ti senti quasi in colpa, io ho avuto questa sensazione. Il veramente poco o quasi niente che possiamo fare è parlarne. E non fraintendere il fatto per cui parlarne significa fare polemica.
Parlarne perché c’è bisogno di parlarne liberamente, di prendere consapevolezza, di puntare il dito contro qualcuno, perché non è un caso. E’ un caso che sia accaduto in quel momento lì. C’è un fattore umano, è un’opera dell’uomo. Se c’è un’opera dell’uomo che collassa, l’uomo dovrebbe esserne responsabile in tutto e per tutto.
M.: Anche per quanto riguarda l’alluvione, anche lì l’uomo è estremamente presente e responsabile. Diciamo che Genova è un po’ sfigata da una parte ma è anche stronza dall’altra, se le chiama. Anche per l’alluvione si capisce che se si chiudono mille rii per la città, prima o poi quest’acqua da qualche parte deve uscire.
F.: La cosa che ci siamo sentiti di dire è che Genova ha sempre difficoltà ad attirare l’attenzione su di sé. E’ come una ragazza che si vergogna di essere carina, quel periodo preadolescente che sei carina ma non vuoi ricevere attenzioni…
M.: Da una parte si vergogna, dall’altra non ha neanche testa…
F.: Non ce n’ha proprio voglia, no ghe n’ha que… Poi ci capitano le attenzioni addosso quando ci sono dei morti da piangere: dal G8 alla Torre Piloti, le alluvioni eccetera. In questo caso sarebbe molto bello riuscire ad attirare le attenzioni facendo un concerto molto figo e molto contemporaneo, con artisti che stanno parlando il linguaggio di questi giorni. Prima possibile o chissà quando, però sarebbe bello che a Genova si parlasse di questo tipo di cose.
Oggi suona un po’ sinistra quella frase de I giovani d’oggi che dice: “gli anziani cosa ci hanno lasciato/i pregiudizi delle persone per bene/e le autostrade”… Perché non si riesce più a parlare di futuro in questo Paese?
F.: La domanda delle domande!
M.: Non so perché ma io sto vedendo oltre a molte cose belle anche un sacco di disagio. Questi popoli, compresi noi, che fanno fatica a stare, a essere popolo. Perché le complessità sono tantissime. Per in effetti in questo periodo sembra che si manifestino più le doti negative che quelle positive delle persone. C’è gente che mette a paragone varie stragi del momento per cercare di dare qualche soluzione veramente assurda.
Gente che ho sentito che dice: “Una volta i nostri nonni facevano i ponti…” Ma quello è un ponte degli anni Sessanta, l’hanno fatto i nostri nonni o comunque il nonno di qualcuno. Una gran voglia di creare sentenze veloci, facili e riconoscibili. Il momento politico lo dichiara prima di tutti.
F.: Un piccolo antidoto, che racconta proprio I giovani d’oggi, è quello di non rivolgersi al passato sempre come il momento migliore dell’umanità. E’ questa finta consapevolezza di essere sempre sull’orlo di una catastrofe. Di dire sempre: “Belin, siamo veramente arrivati ai minimi storici”. E tutte le generazioni tutto sommato lo ripetono. E tutte le generazioni attribuiscono ai giovani di non valere niente e ai vecchi di aver fondato il bene assoluto. Levarsi di dosso questa consapevolezza o questa credenza potrebbe aiutare.
Tutto bene: come nasce il vostro ultimo singolo?
M.: Nasce dalla voglia di raccontare le cose semplici della nostra vita che però poi diventano importanti. Parla di questi rapporti molto superficiali che uno ha quotidianamente con persone che incontri e che dicono che va tutto bene quando magari si sa per vie traverse che magari tutto bene non va. E a me dà fastidio, mi ha sempre dato fastidio, così ci ho fatto questa canzone che però è molto buffa perché ha questa base molto dance, molto giocosa e birichina, con questo testo un po’ scuro, un po’ genovese, quell’agrodolce tipico di Genova.
Diciamo che gli Ex-Otago sono abbastanza “facili” a scrivere di queste cose che possono capitare a chiunque, che però poi di fatto condizionano il proprio stato esistenziale.
Di cosa è preludio il singolo?
M.: Be’ abbiamo scelto di fare un disco molto bello… (ride)
F.: A metà tra il bello e il bellissimo…
M.: E’ il preludio di un disco secondo me molto Ex-Otago, rappresentativo di tutte le anime della band, di un mondo immaginario e immaginifico. Ci saranno canzoni molto ballate e molto dance, ma anche un po’ tutti i lati degli Otaghi ne usciranno bene.
F.: Sarà un disco bello bastardo, nel senso di “misto”. Anzi chi ha visto Tutto bene come la svolta dance degli Ex-Otago dovrebbe girare il binocolo un po’ più in là.
M.: Tutto bene è un giochino che ci diverte sempre, ma rimane comunque una canzone giocosa. Gli Ex-Otago sono anche molto altro.
F.: Poi è emblematico come era nata: eravamo in tour la scorsa estate, avevamo fatto quasi sessanta date in novanta giorni, eravamo demoliti… E c’era Mauri che continuava a cantare in modo ossessivo questo ritornello, come se volesse chiamare qualche divinità a proteggerci, era una specie di mantra! Noi a dirgli: l’hai già registrata, l’idea l’hai fissata, bona… E lui la cantava tutti i giorni: “Tutto bene, tutto bene…”
La svolta elettronica prosegue?
M.: Non siamo molto feticisti dello strumento, ce ne frega abbastanza un cazzo… Ci piace fare le cose che ci gasano e ci emozionano. Poi c’è chi lo è più di me, io sono proprio l’ultimo dei nerd, Fra lo è molto di più.
F.: Ma perché mi piace la forma, è una cosa che la guardo e faccio “aaah”…
M.: Prova piacere, che tipo di piacere ve lo dirà sui social, in separata sede… Diciamo che c’è tanta elettronica e anche tante chitarre.
F.: Non ci piace mai la svolta univoca, non ci piace dire “abbiamo fatto la svolta elettronica, abbiamo fatto la svolta acustica”. Anche se è successo con In capo al mondo, però è una svolta che vista da fuori non saprei come definire. Forse con In capo al mondo una definizione più chiara l’avrei avuta. Con Marassi già meno, con questo disco ancora meno.
In Marassi c’erano due poli, le cose succedevano in mezzo fra i due poli: c’era la cosa più romantica, più soffusa, più intima, mentre l’altro polo era più festaiolo, più da saltare e da ballare. E’ come se con questo disco avessimo allargato ancora di più questi due poli, quindi c’è ancora più spazio dentro per dei mondi differenti. E continuano molto a piacerci i contrasti.
Anzi, all’inizio del disco abbiamo detto: ci piacerebbe fare un disco così, ci siamo subito contraddetti, ma felicemente contraddetti.
Ex-Otago: camicie di dubbio gusto dal 2002
Ultima cosa sulla scena indie, voi siete…
M.: Be’ i più fighi…
F.: Dobbiamo iniziare a comportarci come i rapper, che ognuno dice di aver iniziato una cosa…
M.: Qualche cosa l’abbiamo iniziata davvero!
F.: Cazzo è vero!
M.: Le camicie, porca puttana, è dal 2006 che le usiamo. Camicie di dubbio gusto, di seta, finta seta, plasticona… E ora tutti con ‘ste cazzo di camicie! Noi è dal 2006 che le mettiamo.
F.: Prossimo slogan sarà: “Ex-Otago, dubbio gusto dal 2002”
M.: Ma perché gli Ex-Otago sono veramente un progetto tipico genovese, che non si vanta, sempre basso profilo, però a volte non paga.
F.: Poi lo slogan successivo sarà: “Ex-Otago, mai hype”.
Cambio domanda… Avete collaborato con tutti o quasi, c’è qualcuno con cui vorreste collaborare e non ci siete ancora riusciti?
M.: Ce ne sono tanti. A me piace tantissimo Cosmo, ci piacciono molto i Coma_Cose, anche i Manitoba, questo gruppetto nuovo, molto figo…
F.: Ma tantissimi, nel mondo dei sogni ci piacerebbe Vasco. E’ sempre bello mettersi in discussione e consegnare quello che si è fatto a qualcun altro che si stima. A noi piace tanta roba anche diversa, ci piacerebbe metterla in mano a tanta gente sia del presente sia del “non presente”.
M.: Poi abbiamo fatto tanti featuring, in questo momento non abbiamo tanta voglia. Anche se poi nel disco qualcosa magari ci sarà.
F.: Per toccare i vertici ci piacerebbe veramente collaborare con qualche mostro sacro del passato. Tipo Vasco che stiamo ascoltando a stecca. Però nel contempo ci piacerebbe anche confrontarci con la scena trap. Che è la cosa forse più presente e più punk e rivoluzionaria in questo momento.
M.: E non è escluso che nel nuovo disco…