Flat 125 nasce dalle esperienze musicali di Nicholas Izzi e Alessandro Massarella, e prende forma dall’unione di canoni legati al folk rock e allo shoegaze. Il duo pubblica Hiding from the Light, un ep da quattro canzoni il cui intento è quello di definire un’identità sonora che sia precisa, ma che allo stesso tempo si lasci trascinare dalla corrente dell’impulso. Li abbiamo intervistati.
Potete riassumere la vostra storia fin qui e spiegare “Flat 125”, il nome della band?
Nicholas: E’ iniziato tutto qualche anno fa, quando dopo varie esperienze con gruppi di cover o inediti (tra cui alcuni progetti nei quali io e Alessandro suonavamo già insieme) mi sono trasferito a Londra per un paio di mesi. Una mattina tornando a casa in autobus avevo una melodia nella testa, con una frase che la accompagnava. Al ritorno in Italia ho iniziato a lavorare ad alcune idee di brani con Alessandro, tra cui la suddetta melodia, che poi sarebbe diventata il ritornello di Eastbound, la terza traccia dell’ep.
Il nome del gruppo viene proprio dall’appartamento in cui abitavo allora con la mia ragazza, al 125 di Cannon st road a Whitechapel. Successivamente con l’aiuto di altri musicisti amici abbiamo deciso di formare una band vera e propria per registrare un primo demo, che ho portato poi con me di nuovo a Londra dove sono tornato qualche tempo dopo. Questa seconda esperienza inglese ha significato molto per me, sono arrivati molti cambiamenti, e alcune nuove canzoni, tra cui Winter e Browning road, finite poi in Hiding From The Light.
Sotto quali umori e con quali premesse nasce il vostro nuovo ep?
Dopo un lungo periodo di stallo e rinunce non sempre facilissime decidiamo di metterci sotto e completare per questa prima uscita le registrazioni di almeno quattro brani, un paio dei quali erano già a buon punto. C’è un’idea di coesione in quanto la maggior parte delle canzoni sono nate nei periodi Londinesi, e i testi sono scritti con il bagaglio di quelle esperienze in mente e negli occhi, attraverso stati d’animo appartenenti a persone e luoghi reali o romanzati, sempre legati a un sentimento di distacco da quello che cambia nel tempo. Dunque ci chiudiamo per qualche settimana nel nostro home studio e a lavoro finito mandiamo tutto a mixare e masterizzare in studio da Aaron Caldarella a Genova (Jailbreak Recording and Production), per arrivare al risultato che potete sentire oggi e di cui siamo orgogliosi.
C’è un’alternanza tra ispirazioni folk e idee più elettriche nel vostro lavoro. Quali sono i vostri capisaldi musicali, al momento?
Al momento dischi recenti di artisti come Kurt Vile, Piano Magic, Diiv, The National, The War on Drugs ma anche qualcosa di più datato come My Bloody Valentine, Slowdive o Dinosaur Jr. (gli ultimi due tra l’altro hanno appena pubblicato un nuovo disco) e molto il Battisti di Anima Latina, per dirne alcuni. Poi le nostre influenze “essenziali” che non abbandoniamo mai come Dylan, Neil Young, U2, The Smiths…
Come nasce “Fog”?
Nicholas: Il giro di accordi , che è lo stesso per tutto il brano, e un paio di note del riff iniziale iniziai a suonarli una sera di un sacco di anni fa per provare le funzioni di un piccolo registratore digitale portatile appena acquistato, poi è venuta fuori la melodia della voce. Provandola insieme ad Alessandro ha assunto una struttura vera e propria, e abbiamo deciso di inserirla nell’ep. Le voci che parlano all’inizio del brano invece sono una registrazione casuale fatta con il cellulare di una conversazione tra sconosciuti su un autobus inglese, mentre il basso appartiene alla prima registrazione originale del brano ed è suonato dal nostro amico Fabio Forte.
Alessandro: Inizialmente la parte ritmica era leggermente diversa, lavorando sul brano ci siamo accorti che “spingeva” naturamente verso una determinata direzione. non abbiamo dovuto fare altro che assecondarne le inclinazioni, ho inserito il charleston in sedicesimi e Fog ci è sembrata perfetta. Molto new wave ma, anche grazie al lavoro di produzione, perfettamente inserita in un contesto più folkrock.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Alessandro: Oltre alla batteria (spesso registrata con un setup particolare) ci sono shaker, tamburello, timbales, djembé, e varie percussioni “estemporanee”, come ad esempio una catena suonata sul timpano di Eastbound.
Nicholas: Di base sempre due chitarre acustiche (a 6 e 12 corde) e qualche traccia di chitarra elettrica molto effettata con distorsione, modulazioni, delay e riverbero come tappeto sonoro. Poi l’elettrica principale che ha quasi sempre un phaser e un delay analogico, il banjo e una vecchia acustica con accordatura aperta usata con lo slide. In un paio di brani abbiamo usato un organetto tipo Farfisa modificando poi il suono in post produzione…
Potete descrivere i vostri concerti?
Il nostro live in questo momento è principalmente elettrico, data anche la natura dei nuovi brani a cui abbiamo già iniziato a lavorare per la prossima uscita, ma include anche momenti più acustici che rispecchiano una matrice folkrock che resta sempre presente nelle nostre “radici” musicali.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Apprezziamo molto sia artisti di matrice più pop/cantautoriale come Motta per esempio, (il cui ultimo disco è prodotto da Riccardo Sinigallia, un vero gigante della musica italiana degli ultimi anni) sia band o artisti di genere più vicino a noi come Sonic Jesus, Black Tail, o Buckingum Palace per fare qualche nome.
Flat 125 traccia per traccia
Parte da molto lontano Winter, la traccia introduttiva del lavoro dei Flat 125. Un arrivo graduale che approda a un brano morbido, con attinenze sparse ma evidenti al folk e alla psichedelia, lasciando un’impressione di indeterminatezza. Il chiacchiericcio sparso che appare in cima a Fog lascia presto spazio a un ritmo intenso e a un’aggressività molto marcata, con tracce di dark wave.
Eastbound torna ad abbassare i toni, si fa più contenuta e sommessa, ma allarga la base vocale e allestisce una sorta di festa attorno al falò. L’ep si chiude con Browning Road, che mescola suoni acustici ed elettrici per comporre un panorama morbido e ampio.
Esordio promettente, quello dei Flat 125, che mettono in mostra una tavolozza di colori interessante e non scontata. Ci sarà modo e tempo di giudicarli quando pubblicheranno qualcosa su distanza lunga, ma i primi passi sono nella direzione giusta.
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