Franco Battiato: per capire meglio la mia essenza #sottotraccia
Come da tradizione (recente) dedichiamo agosto alla lettura: per il 2024 abbiamo deciso di ripubblicare una serie di pagine tratte dal volume “Italia d’autore” (Arcana, 2019), dedicato ai grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana
Francesco Battiato nasce a Riposto, sulla costa catanese, il 23 marzo 1945. Ha ben chiaro molto presto quale dovrà essere il suo avvenire: ha vent’anni nel 1965 quando si trasferisce prima a Roma e poi a Milano. E ancora giovanissimo incide due singoli, approfittando, per così dire, di un esperimento di marketing alternativo: la rivista Nuova Enigmistica Tascabile allega dischi di canzoni celebri interpretati da cantanti poco conosciuti.
Il cantautore, che si firma con il suo nome di battesimo, propone un brano presentato al Festival di Sanremo da Beppe Cardile e Anita Harris, L’amore è partito, nonché una canzone portata al successo da Alain Barrière: …e più ti amo che, tradotto in italiano da Gino Paoli, riproporrà nell’album del 2008, Fleurs 2. Poi forma il duo Gli ambulanti con Gregorio Alicata: notati da Gaber che li porta alla Ricordi, non convincono però la casa discografica e si sciolgono.
Ma Gaber crede in Battiato e lo presenta, come solista, alla Jolly. L’etichetta pubblica alcuni singoli del giovane che s’iscrivono nel filone della canzone di protesta. Gaber invita Battiato alla trasmissione Diamoci del tu, condotta da Caterina Caselli, ma per evitare confusioni con un altro giovane cantautore invitato la stessa sera, Francesco Guccini, si decide che Battiato d’ora in poi sarà Franco (e così sarà anche per la madre del cantautore, stando a quanto raccontato da lui stesso).
Battiato inizia a partecipare a trasmissioni televisive e a manifestazioni come Un disco per l’estate, ma deve ancora incanalare nella maniera giusta la propria ispirazione: abbandona la canzone di protesta per il filone romantico, ma anche qui non è del tutto a proprio agio. Collabora ancora con Gaber e con altri giovani artisti come Fiorella Mannoia, cambia etichetta discografica. Tutta questa inquietudine di fondo sfocia, a partire dal 1971, in una serie di dischi sperimentali, come Fetus o Pollution, che pur rimanendo tentativi di nicchia, cominciano a determinare in maniera più concreta la personalità artistica di Battiato.
Dal cinghiale bianco alla voce del padrone
È del 1972 l’incontro con Karl-Heinz Stockhausen, di cui rimane amico e che gli consiglia di studiare musica e solfeggio. Arrivano altri dischi nella prima metà degli anni Settanta, come Sulle corde di Aries e Clic, mentre entra a far parte degli Osage Tribe e aiuta Juri Camisasca nel disco del 1974, La finestra dentro. Tra sperimentalismo e progressive, si devono annoverare i progetti come il gruppo Telaio Magnetico, con Camisasca e altri, e i tre dischi pubblicati da Ricordi che costituiscono la punta estrema del Battiato sperimentale: Battiato del 1977 e Juke box e L’Egitto prima delle sabbie del 1978, composti spesso da brani strumentali di venti minuti, a volte costituiti da un solo accordo di pianoforte ripetuto.
I dischi sono per lo più ignorati e lasciano spazio alla seconda fase di Battiato: dopo un paio di singoli in francese, il cantautore mette insieme la squadra giusta per cominciare ad allargare il proprio pubblico. In compagnia di musicisti come il violinista Giusto Pio, il chitarrista Alberto Radius e il batterista Tullio De Piscopo, Battiato canta L’era del cinghiale bianco, che comprende anche Strade dell’est, Stranizza d’amuri e Pasqua etiope.
I testi sono quasi esoterici e inusuali, così fuori dal normale che la sua casa discografica dell’epoca, la EMI, pubblica il disco con molta perplessità. Ma le melodie sono sicuramente più adatte al pubblico rispetto al passato, anche se l’album non sarà un successo di pubblico. Ma di critica sì: saranno in molti ad apprezzarlo e ancora di più a riscoprirlo quando, nel 1980, uscirà Patriots, con Up patriots to arms e Prospettiva Nevski, che invece avrà un discreto riscontro anche di vendite.
Niente, però, in confronto a La voce del padrone, uscito nel 1981, che grazie ai complessivi sette singoli travolge ogni record di copie vendute e rimane in testa alla classifica per mesi. Battiato ha trovato la propria città perduta, il luogo dove grande successo e qualità possono convivere senza compromessi. La sua dote di autore è confermata anche dal trionfo di Alice al Festival di Sanremo del 1981 con Per Elisa, scritta da Battiato, Alice e Giusto Pio.
Voglio vederti danzare
L’idillio però non dura moltissimo: nel 1982 esce L’arca di Noè, altro disco molto venduto, che cede il primo posto soltanto di fronte a Thriller di Michael Jackson; ma il comune sentire della critica s’interrompe con Radio Varsavia, attaccata da Gianfranco Manfredi perché, a suo dire, portatrice della “cultura della nuova destra”. In realtà ciò che succedeva in Polonia all’epoca non sembrava encomiabile nemmeno alla nuova sinistra; Battiato ha rigettato più volte l’etichetta di cantautore di destra, pur suonando in un’occasione a un festival di Alleanza Nazionale. Ha anche dichiarato:
Qualcuno si è inventato la storia per cui sarei di destra, non è vero. Se uno legge bene le mie cose sa da tempo che sono un proletario dello spirito. Sono sempre stato vicino a una certa sinistra; non certo quella sovietica; la sinistra dei diritti e delle libertà.
Quindi, se ne deduce, è andato a suonare di fronte a quelli di AN per convertirli.
In ogni caso il disco sembra aver smarrito quella freschezza dei due capolavori precedenti, a parte forse Voglio vederti danzare. Battiato fa uso di due testi di Tommaso Tramonti (Clamori e L’esodo). È un primo passo verso la direzione più elitaria e sofisticata che sta prendendo la sua musica, come conferma anche Orizzonti perduti del 1983, che si apre con La stagione dell’amore. Battiato elimina ogni strumento acustico affidandosi in toto all’elettronica e dimostrando di essere sempre molto attento alle tendenze musicali internazionali.
Nel 1984 arriva I treni di Tozeur, cantata in coppia con Alice, che si classifica quinta a quella curiosa manifestazione canora che è l’Eurofestival. Nel 1985 esce Mondi lontanissimi, che riunisce alcune canzoni già edite come la stessa I treni di Tozeur o Chanson Egocentrique, mentre due anni dopo Battiato pubblica Genesi, un’opera lirica a cui sta lavorando da quattro anni che contiene testi in sanscrito, persiano, greco e turco e che si rappresenta al Teatro Regio di Parma il 26 aprile 1987. Dall’Eurofestival al Regio di Parma, Battiato dimostra di conoscere tutte le corde della musica contemporanea.
Il richiamo del pop
Ma dopo Genesi sembra addirittura che abbia abbandonato l’idea di comporre ancora musica leggera e che subisca un’attrazione ormai irresistibile per quella colta, ormai unico alveo dove convogliare energie, cultura e aspirazioni. Eppure qualcosa gli scappa dalle mani, eppure il pop è una malattia di cui è difficile liberarsi, tanto che mentre scrive Genesi, le dita ogni tanto si muovono da sole sul pianoforte componendo melodie grandi, di ampio respiro, ma non abbastanza da finire accanto alle opere di Rossini, Verdi, Wagner.
E così nasce un disco, Fisiognomica, che sta benissimo accanto alle altre opere del musicista catanese e anzi svetta, risultando il migliore dai tempi di La voce del padrone. La scintilla, a dire il vero, arriva da Juri Camisasca: il vecchio amico esce dai ritiri religiosi per comporre Nomadi, una canzone destinata a Giuni Russo che però Caterina Caselli, a capo della casa discografica di Giuni, non apprezza particolarmente e non vuole incidere.
È uno dei rari errori della carriera della Caselli: Camisasca l’affida ad Alice, che la valorizza a dovere, tanto che anche Battiato ne fa una propria versione, che finisce a costituire il primo nucleo di senso di Fisiognomica, accanto alla title track, a canzoni in siciliano come Veni l’autunnu, in arabo come Zai saman, a una canzone perfetta come E ti vengo a cercare. Non è un ritorno al passato, non ci sono pezzi paragonabili a Up patriots to arms né a Centro di gravità permanente, ma è una dimostrazione del fatto che Battiato senza il pop non sa stare, per quanti sforzi faccia per allontanarsene.
Nel 1989 arriva Giubbe rosse, che in copertina non reca la sua firma, bensì soltanto la frase «La EMI Italiana è abbastanza lieta di presentare Giubbe rosse il primo album dal vivo del cantautore siciliano»: atto di protesta, d’ironia o di sconcerto, non è dato sapere. Ma se il pop è un’attrazione forte, anche le aspirazioni alte di Battiato si fanno sentire alla stessa maniera: nel 1991 esce Come un cammello in una grondaia, che mette in chiaro fin dal titolo (citazione dello studioso persiano del XII secolo Al-Biruni) in quale contesto si muova l’album.
Gli ultimi quattro brani del disco sono Lieder di Beethoven, Wagner, Brahms, più Plaisir d’amour di Martin rielaborata da Berlioz. Le prime quattro non scendono sotto la soglia della solennità, ma sono composizioni dello stesso Battiato, la più significativa delle quali è Povera Patria, accorato e motivato appello contro la decadenza che quotidianamente gli italiani hanno modo di toccare con mano.
L’incontro con Sgalambro
Il 5 giugno 1992 il Teatro dell’Opera di Roma ospita Gilgamesh, seconda opera lirica di Battiato, che porta a compimento tre anni di lavoro. L’anno successivo arriva Caffè de la paix, una conferma della voglia di eclettismo, che pesca testi da Properzio come dai brani tradizionali iracheni e che sottolinea anche il fatto che il cantautore ha voglia e forse bisogno di una spalla per la parte testuale delle sue canzoni.
Così, dopo La messa arcaica del 1994, breve escursione nei territori della musica sacra, e dopo il Live unprotected dello stesso anno, arriva L’ombrello e la macchina da cucire, i cui testi sono firmati dal filosofo Manlio Sgalambro. Lo scrittore catanese, il cui pensiero (come quello di tutti nel Novecento, consapevoli o meno) è influenzato da Nietzsche, nonché da nichilisti/pessimisti come Cioran, non è che porti propriamente una sferzata di freschezza nei versi delle canzoni, tanto è vero che si comincia con Breve invito a rinviare il suicidio.
Ma sicuramente si completa in modo positivo con le musiche di Battiato, come si vedrà in modo più compiuto a partire da L’imboscata, del 1996, che torna a toccare corde specificamente pop con pezzi come Strani giorni e che raggiunge una vetta assoluta con La cura, la miglior canzone d’amore della carriera di Battiato. Il gioco del pop continua a piacere alla non più giovanissima accoppiata Battiato-Sgalambro, come dimostra ancora Gommalacca del 1998, che è aperto da Shock in my town, e che vede collaborazioni con artisti più giovani come Madaski, Ginevra di Marco, Morgan.
Inizia poi il progetto Fleurs, con fiori spesso poco conosciuti raccolti dalla discografia internazionale nell’arco di tre dischi, pubblicati a distanza di qualche anno l’uno dall’altro. Sulla stessa linea anche Ferro battuto del 2001, mentre per un disco completo di inediti bisogna aspettare i Dieci stratagemmi del 2004, che riesce a mettere nello stesso piatto citazioni di Stockhausen e la collaborazione con i Krisma e con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil.
Altri progetti pubblicati sono Il vuoto del 2007 e la raccolta Inneres auge del 2009, la cui canzone che dà il titolo all’album fa di tutto per confermare i luoghi comuni sull’ermetismo di Battiato e di Sgalambro, sull’incomprensibilità dei cantautori italiani e soprattutto sul distacco tra i musicisti e la realtà, in particolare nei versi: «Uno dice che male c’è a organizzare feste private/con delle belle ragazze/per allietare primari e servitori dello Stato?/Non ci siamo capiti/e perché mai dovremmo pagare/anche gli extra a dei rincoglioniti?».
Assessore per cinque minuti
Negli ultimi anni l’alternanza lirica/pop prosegue: nel 2011 arriva l’opera Telesio, commissionata dal comune di Cosenza e rappresentata sul palco mediante gli ologrammi preregistrati dagli attori. Nel 2012 invece ecco apriti sesamo, che mette accanto ancora una volta temi antichissimi e idee recenti, con collaborazioni come quella di Simon Tong dei Verve e di Faso di Elio e le Storie Tese.
Il singolo Passacaglia è un altro tuffo nel pessimismo da parte di Sgalambro, mentre il resto del disco rimane in collegamento con la musica colta, come quella di Rimskij-Korsakov e di Gluck. Battiato si mette alla prova perfino con la politica, come assessore al Turismo per la regione Sicilia, incarico abbandonato in breve e non senza polemiche.
Il 6 marzo 2014 Manlio Sgalambro muore all’età di ottantanove anni: il sodalizio tra i due grandi catanesi si spegne così, per colpa della morte. Così Battiato, che è un solitario di tipo sociale, cerca altre sponde: è del 2016 il fortunato tour con la vecchia amica Alice, apprezzatissimo dal pubblico. E poi arriva anche una collaborazione con la curiosa formazione ed etichetta degli Stenopeica.
Voci incontrollate rispetto a una degenerazione della sua salute, soprattutto a livello cerebrale, rimbalzano a partire dal 2018: l’ondata di affetto che si genera fa comprendere come Battiato possa non essere un autore “per tutti”, ma sicuramente capace di suscitare l’ammirazione di moltissimi sì. Le voci, purtroppo, trovano conferma con la morte del cantautore, avvenuta il 18 maggio 2021.
Se De André e Battisti, ognuno a modo proprio, hanno provato a coniugare alto e basso, pop e cultura, ricerca e fruibilità immediata, forse da quest’unico punto di vista sono stati inferiori al miglior Battiato che, in ben determinati periodi della carriera, ha giocato meglio di tutti la carta della cultura inscritta nel pentagramma. Salvo poi rifugiarsi di tanto in tanto nella Übermusik, come se fosse un pianeta diverso, strano e lontano, in cui prendere fiato dalle bassezze e dalle pochezze dell’umana natura.