Nati nel 2011 a Verona e transtitati attraverso qualche mutazione, i Fry Days sono un gruppo che suona uno psych stoner molto potente. Il loro ultimo lavoro è I Hear Colors, e noi abbiamo rivolto loro qualche domanda.
Avete già una storia piuttosto articolata alle spalle. Vi va di raccontarcene un po’?
Fry Days è un progetto che abbiamo iniziato a creare 13 anni fa. Io (Jacopo, cantante e chitarra) e Federico (bassista) abbiamo iniziato a suonare insieme quando andavamo alla scuola media. Al pomeriggio ci trovavamo da me e suonavamo pezzi dei Green Day e Blink-182, i nostri gruppi preferiti all’epoca, per allenarci e divertirci. Crescendo abbiamo ampliato i nostri ascolti e abbiamo deciso di includere un’altra chitarra alla formazione. Ho pensato a Luca, conosciuto sul bus di ritorno da scuola.
Mi parlava della sua Les Paul, del suo ampli 100W e degli assoli che era in grado di fare (io all’epoca mi limitavo esclusivamente alla chitarra ritmica) quindi l’abbiamo invitato a provare con noi. Poi nel 2011 abbiamo finalmente trovato il batterista, ed è in quell’anno che ufficialmente sono nati i Fry Days. Nel 2013 è arrivato Paolo, il nostro attuale batterista. Da allora abbiamo iniziato a scrivere suonare con più frequenza e intesa. Abbiamo suonato nel nord Italia, in Olanda e in Romania la scorsa estate, costruito la nostra sala prove, organizzato un minifestival, pubblicato un ep nel 2014 e “I Hear Colors” nel 2017, tutto in autoproduzione.
Come sono andate le lavorazioni del vostro ultimo lavoro, “I Hear Colors”?
È stato un processo lungo. I pezzi al suo interno sono stati scritti nell’arco di 3-4 anni, perciò lo considero un disco piuttosto vario. La ispirazioni sono molteplici: al di là degli artisti di calibro nazionale e internazionale che abbiamo ascoltato privatamente (QOTSA, Verdena, Raconteurs, Jack White, Dead Weather, Eagles Of Death Metal Justice, ZEUS!, Fuzz Orchestra, Kasabian), credo che un gran ruolo nella creazione di questo disco siano i gruppi con cui abbiamo suonato assieme dal vivo.
Era il periodo in cui stavamo iniziando a suonare parecchio e conoscere tanti musicisti nuovi. Conoscere gruppi che suonavano musica simile alla nostra ci dava un modello da seguire e un senso di appartenenza. I gruppi invece che suonavano musica che non conoscevamo o distante dalla nostra ci davano la possibilità di arricchirci e scoprire cose nuove dalle quali comunque poter imparare qualcosa.
Mi piace pensare che “I Hear Colors” sia nato da queste diverse esperienze. Le registrazioni sono iniziate ad agosto 2016 e terminate a giugno 2017 al MellowSong Studio di Verona. Poi abbiamo lavorato ai mix costantemente tutta l’estate per avere il disco pronto a settembre, prima che Luca dovesse partire per andare a studiare all’estero.
Come nasce “West, Johnny”?
“West, Johnny” è forse il mio pezzo preferito del disco. È nata come sono nate più o meno tutte le nostre canzoni. Da una jam o da una suonata in cazzeggio viene fuori un giro carino. A quello viene accostata un’altra idea carina che si sposa bene con la prima idea. Da li ci sono già le basi per un pezzo. Ci troviamo insieme e proviamo dargli forma, trovando nuove idee insieme o pescandone di “vecchie” da jam passate. Quando il pezzo raggiunge una struttura di cui siamo soddisfatti, allora curiamo più nel dettaglio arrangiamenti, suoni e voci.
Ci sono alcuni pezzi che subito ti fanno scaturire mille idee su come possono essere arrangiati e strutturati, altri invece sui quali lavori settimane prima di ottenere una forma soddisfacente. “West, Johnny” apparteneva alla prima categoria, è nato abbastanza in fretta. Il testo in genere viene per ultimo. In questo caso parla di una persona che sta migrando durante la notte verso un nuovo posto. Il testo è la conversazione che il protagonista ha con il suo cocchiere/traghettatore, il quale da una parte cerca di metterlo in guardia e di farlo dubitare della sua decisione, dall’altra lo sprona a cercare sempre il meglio per il suo futuro.
Sia per il tipo di musica che fate sia per l’esperienza che avete accumulato immagino che la parte live della vostra attività sia la più interessante. Com’è vedere i Fry Days dal vivo?
Ci è stato più volte detto che i pezzi sono meglio dal vivo che su disco. Voglio pensare che sia un complimento! Dal vivo cerchiamo di mettere il massimo della cura nella performance musicale, anche dal punto di vista dell’andamento della scaletta del concerto. Alcune canzoni sfumano nelle altre e c’è spazio all’improvvisazione, quindi ogni concerto ha delle variazioni in base alla situazione.
Alcuni arrangiamenti non sono più identici a quelli del disco. Vedo le canzoni come entità vive, ed è giusto che si adattino in parte all’attualità del gruppo: se ci sono alcuni arrangiamenti o suoni del disco che non mi piacciono più cerco di adattarli ai miei gusti attuali. Cerchiamo di far si che sia la nostra musica a intrattenere il pubblico e non noi, non ci consideriamo degli intrattenitori da quel punto di vista, lasciamo che siano gli ascoltatori a decidere se rimanere ad ascoltare e divertirsi insieme a noi, cercando di dare il massimo ad ogni performance.
So che state lavorando al nuovo disco. Qualche anticipazione su come sarà?
Si! Sarà parzialmente diverso da “I Hear Colors”, sia per gli ascolti diversi che abbiamo fatto da allora (in questo ultimi anni abbiamo ascoltato molto King Gizzard & Lizard Wizard, Prodigy, Khruangbin, Ty Segall, Calibro 35, ecc.) sia perché l’esperienza del disco precedente ci ha insegnato molto su cosa è meglio fare e cosa no. Questo disco inoltre è stato scritto in tre senza Luca, quindi abbiamo dovuto trovare soluzioni diverse e adattarci alla situazione. Ci sarà più groove, sarà meno denso da un punto di vista di arrangiamento ma non mancheranno parti incazzate e distorte. Non vediamo l’ora di registrarlo e pubblicarlo!
Fry Days traccia per traccia
Si parte da CCC, una prima espressione di potenza molto granitica, evidentemente imparentata con lo stoner.
Molto vocale Acheedee, almeno sulle prime: pur essendo potente, il brano sviluppa anche alcune sottigliezze e ambiguità.
Iron Mine ha un riff potente ed echeggia con forza nella vallata. Le voci si sovrappongono, tra cori ed effetti, regalando sensazioni tra il vintage e lo psichedelico.
La title track I Hear Colors arriva subito dopo, con qualche indizio di post grunge a variare un po’ il panorama.
Barracudas to the Sun si fa aggressiva e anche scomposta, ribollente di energie e piuttosto rovente.
Molto più ondeggiante e insinuante la seguente Zeb, che ha visioni e miraggi guidati da un drumming piuttosto regolare.
Più dialettica West, Johnny, canzone che si avvia verso la frontiera con un passo controllato e qualche cattiveria. Salvo poi scoprirsi rumorosissima verso il finale.
Olympus bussa forte, poi parte di corsa e fila via liscia, prima che intervenga Fireflies a incendiare le atmosfere.
Si chiude con Flood!, un diluvio di suoni e di ritmi che si abbatte sull’ascoltatore, tramortendolo, anche se c’è spazio anche per qualche sussurro e bisbiglio.
In realtà c’è ancora un brano, una canzone bonus che si chiama Bonus (vedi a volte la fantasia). E che di nuovo picchia come se non ci fosse un domani. E infatti probabilmente non c’è.
Un disco diretto, a volte crudo, capace anche di voli improvvisi ma nel complesso estremamente ricco di sensazioni ottime, quello dei Fry Days. Che riversano su lp l’energia che presumibilmente non è difficile trovare nei loro concerti.